VIVE. Annie Barbazza. I più grandi musicisti nel suo disco d’esordio

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Che Annie Barbazza fosse stata baciata da Euterpe la musa della musica, era certo fin dai tempi dei “The Weavers” il primo gruppo dove Annie, allora dodicenne,  suonava la batteria, componeva e cantava con una personalità così grande da far impallidire fior fiore di musicisti ben più grandi di lei.

Orecchio assoluto, capacità compositiva, di interpretazione vocale: sono le caratteristiche che con l’andar del tempo, hanno portato Annie ad essere apprezzata dai più grandi musicisti di avanguardia a livello mondiale a partire da Greg Lake ma anche Paul Roland, Lino Capra Vaccina, Daniel Lanois, John Greaves, Fred Frith. Michael Tunner, Olivier Mellano, Paolo Tofani tanto per citarne alcuni. Tutta gente che ha fatto e sta facendo la storia della musica d’avanguardia, perché, intendiamoci, Annie non ha certo scelto la strada della musica “facile” ma è entrata nel gotha della musica attraverso la porta stretta della musica “difficile” quella meno commerciale all’interno della quale si è conquistata un posto in prima fila tanto che uno come Fred Frith (chitarrista che tanto per capirci ha collaborato con gente che di nome fa Robert Wyatt, Brian Eno e Mike Oldfield) le ha chiesto “scusa Annie posso suonare nel tuo disco?”.

Video: Annie Barbazza – Les Ruines Du Sommeil (Vive, 2020)

Annie esce in questi giorni, il 28 febbraio per l’esattezza, con Vive il suo disco d’esordio per l’etichetta Dark Companion.  Un disco “con tante collaborazioni, e dai tratti essenziali e anche  “crudi”  per rispecchiare i tratti di personalità dei Annie” come ci ha raccontato Max Marchini che ha curato la produzione di Vive, disco registrato all’Elfo Studio di Tavernago

Annie si è svelata a noi in questa intervista.

  • Per prima cosa un accenno al genere musicale (progressive). Una musicista giovane come te a fianco di un genere che affonda le sue radici negli anni 60 e 70. Come mai questo innamoramento?

Ci sono cresciuta dentro, in un certo senso, e ne ho assimilato quel gusto di saper andare oltre agli schemi del rock classico. In fondo ciò che differenzia quello che oggi chiamiamo progressive è avere le proprie radici nelle semantiche della musica europea (classica, folk), piuttosto che in quelle americane (blues, soul). Se devo pensare a quei ragazzi che sulla fine degli anni 60 hanno portato la più grande rivoluzione musicale dopo i sacri Beatles, penso ai gruppi come King Crimson, Nice, Genesis, Soft Machine, Gong che sperimentavano continuamente, spingendo i confini e travalicando i generi.

  • Puoi parlare un po’ del disco? E’ un concept? Oppure ogni canzone vive di vita propria? com’è avvenuta la scrittura e poi la scelta delle canzoni?

Direi l’opposto di un concept… Quando ho iniziato suonavo la batteria e scrivevo i brani per il mio gruppo, poi ho avuto la fortuna di conoscere Greg Lake tramite Max Marchini (il mio produttore e papà del chitarrista del gruppo) che ha fatto scoprire anche a me la mia voce e mi ha dato talmente fiducia da produrre un album per la mitica etichetta Manticore realizzato assieme a Max Repetti che con Lake ha scritto gli arrangiamenti. Il disco si chiama Moonchild. Contemporaneamente Greg voleva che io suonassi un disco – diciamo folk, cantautorale – suonando da sola tutti gli strumenti. Abbiamo iniziato sotto la sua produzione ma poi, maturando, suonando, ascoltando ho conosciuto tanti musicisti con i quali è nata una amicizia e che hanno voluto contribuire al disco, spostando il timone decisamente verso un oceano aperto, ben al di là delle colonne d’Ercole… Tra questi, William Xerra che da sempre ha sostenuto il lato più sperimentale della mia musica e che ha voluto realizzare la copertina del mio disco. Dalla sua poetica, e come omaggio a questo immenso artista nostro concittadino, ho tratto il titolo del mio album: “Vive”, sigla con la quale, dal 1976, Xerra segna alcune sue opere d’arte. Il termine “vive” è attinto dalla terminologia tipografica: è la chiave simbolica per indicare il recupero di un qualcosa che si era cancellato, restituendogli così vita espressiva e, forse, significato.  Anche questo album ha molte parti che sono “vive” in quel senso.

  • E’ chiaro che tutte le canzoni del disco ti rappresentano, ma ce n’è una a cui sei particolarmente legata? perchè?

La “scelta di Sophie”! Non riesco davvero a dirti la mia canzone preferita: lo sono tutte, ma forse quelle scritte per me e per questo album da John Greaves e da Paul Roland hanno un posto del tutto speciale nel mio cuore.

  • Il tuo nome e questo disco, dono legati a grandissimi collaborazioni: che effetto fa essere al fianco di mostri sacri della musica? 

Ovviamente un grande onore, una grande responsabilità. Mi pesa aver dovuto lasciare fuori alcune collaborazioni fattive o potenziali perché ho voluto tirare una riga. La gestazione di questo disco è stata lunga e le canzoni, il disco intero insomma, ha subito una lenta e profonda trasformazione in qualcosa di diverso, come diceva Shakespeare, “rich and strange”. Mi ha lusingata il fatto che mi hanno proposto di esserci, da Daniel Lanois a Lino Capra Vaccina, da Olivier Mellano a Fred Frith, John Greaves, Paul Roland…

  • Ci puoi raccontare un aneddoto (o più aneddoti) che ti hanno colpita, emozionata, entusiasmata, nella registrazione di questo disco?

Oh potrei raccontartene a iosa! Di un viaggio in treno con Lino Capra Vaccina che è stato illuminante per superare la forma canzone o alla riscoperta di strumenti antichi con Michael Tanner, come l’autoharp che ho suonato in una traccia in duo con Daniel Lanois o di serate trascorse a parlare di musica nuova con Max, John e Fred oppure un’estate a Bobbio in vacanza con Greaves e Roland… e delle tante ore che Greg Lake ha voluto dedicarmi, discutendo di tutto, insegnandomi come respirare, come parlare e i mille aneddoti con i quali allietava le serate al ristorante con Max, Franz Soprani e Alberto Callegari dell’Elfo Studio al quale va la mia eterna gratitudine per il sostegno, la pazienza e la ineguagliabile professionalità.

hai in previsione un concerto di presentazione e/o un tour di concerti?

Sto lavorando con il grande Marco Colombo, con cui collaboro da anni, per tradurre dal vivo queste canzoni e altre. Ho avuto diverse occasioni all’estero ultimamente, ma in Italia è sempre così difficile, complicato, costoso suonare.

Summertime In Jazz