Strada, hip hop e “Don’t really know”: Trifo fra passato e presente

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Torniamo sul mondo del rap – hip hop dopo qualche settimana, per parlare di un personaggio che ormai da molti anni è presente (e conosciuto) nel panorama piacentino del genere: Trifo. Come a volte ci succede (ahinoi!) arriviamo tardi sul suo ultimo lavoro dal titolo “Don’t really know”, e per farci perdonare, lo abbiamo intervistato.

Dall’inizio: sapendo che sei fra i ragazzi che da più tempo è sul “mercato”, da quanto fai musica?

Quando ho iniziato io c’erano già gli Et3, ma oltre a me e a loro, c’erano poche cose. Io poi mi sono buttato su altre cose e nel frattempo hanno cominciato tanti ragazzi, partendo dalle prime cose che facevo io all’inizio. Ricordo che il primo live l’ho fatto nel 2006 alla Taverna delle fate con le gambe che mi tremavano, da lì sono undici anni che vado avanti.

Il cambiamento nel genere da quel 2006, come è stato?

Il cambiamento è stato allucinante in senso positivo, prima era difficile anche solo suonare, sia a Piacenza che fuori. Il genere proprio non andava. Il boom è partito quando Mondomarcio è uscito ed ha aperto le strade all’hip hop. I locali hanno seguito questa cosa e adesso è un business.

Com’è il tuo rapporto con le altre realtà piacentine?

Io adesso, anche se sono sempre in Matricola Trecento, lavoro con MR Decibel e Afro Kaing, che sono di Codogno, perciò lavorativamente adesso sono un attimo fuori città, però a Piacenza ci sono artisti che stimo e altri meno, uno nella prima categoria è Morrywood. Poi adesso è anche un po’ diverso rispetto a prima, c’erano più crew vere e proprie, adesso c’è più musica slegata da una cultura vera e propria come l’hip hop e di conseguenza il discorso di essere vicino ad un gruppo o ad un altro, è un po’ superato.

Arriviamo all’album partendo dai suoni: ci sono basi anche molto elettriche. È qualcosa che senti “tua” oppure è una scelta relativa ai pezzi?

Io nei miei dischi ho sempre cercato di variare, per i suoni ho sempre di lavorare con producer diversi per avere risultati diversi. C’è anche reggeaton, trap, vecchia scuola. Non ho mai fatto un disco su un’unica linea e penso che farò sempre così. Nell’album arrivo ad avare anche la dance con “Like bees with honey”, non perché sono legato alla dance, ma perché il beat mi piaceva. È una cosa forse un po’ criticabile, ma va bene così.

E sulle collaborazioni, che sono tante, cosa ci puoi dire?

Con Afro Kaing nascono da serate in cui ci mettiamo in casa a cazzeggiare e se mi piace un beat glielo chiedo. Questo non solo perché ci conosciamo, ma soprattutto perché ha suoni davvero buoni, conosce tutti gli artisti americani e fa cose che in Italia non ci sono ancora. Secondo me lui è uno che può davvero arrivare. Altre cose invece me le sono proprio cercate, come alcuni beat di Prez. Così anche per le altre voci all’interno dell’album. Ce ne sono diverse anche se devo dire la verità: non amo molto i featuring; un po’ per il tempo in più che serve per mettere insieme cose diverse, e un po’ perché sono una testa di cazzo. Perciò preferisco farlo con un amico che conosce quello che voglio dire e che ha avuto una storia simile alla mia.

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In mezzo troviamo Ragazzina, una canzone forse più leggera rispetto ad altre, ma che hai usato anche come singolo….

In realtà c’è un motivo particolare perché si trova dentro l’album. È una canzone nata 10 anni fa, quando registravo in camera mia, e l’ho fatta su un beat non mio. Mi piaceva ma suonava male, era una bella canzone ma non funzionava. Quando ho potuto fare un disco fatto bene ho deciso di riprenderla e darle un’altra veste. Prez ha fatto un beat simile, ha cambiato qualche sfumatura ed è uscita così. E la cosa è andata bene! È stata accetta da Vevo, ha girato locali, arrivando anche a Radio 105 e in diverse tivù locali. Anche se non è un pezzo da considerarsi rap underground, mi ha dato grande soddisfazione.

Tornando allo stile, non sembra che questo tuo “Don’t really know” segua per forza i nuovi suoni che hanno invaso il rap e l’hip hop degli ultimi mesi. È una scelta?

Io sono legato al rap delle origini, mi piace molto la trap e per la prima volta ho voluto fare pezzi con questo stile, però l’ho voluto fare per provare una cosa nuova, ma le mie basi sono altre e voglio continuare a rimanere su quelle.

Appunto, le radici?

Ascoltavo e ascolto tutto. Partendo da Kaos One a Colle del fomento, ma anche i gruppi come Articolo 31 e i Sottotono. Ovviamente in mezzo ci sono sempre stati tanti pezzi che parlano della strada, però poi vado fino ai cantautori come Battisti, poi Pino Daniele fino alla musica napoletana. Mi piace vedere come gli artisti “mettono giù” una canzone. Ad esempio, anche se non c’entra niente con me, la Nannini per me è una grandissima.

Hai parlato di strada. Tu un po’ ne hai viste. Sono più le cose che hai lasciato in giro per quelle strade o quelle che hai portato con te?

Si, un po’ ne ho viste e girate. Sono nato a Busto Arsizio, poi cresciuto in Calabria fino a 14 anni per poi passare in Sardegna e arrivare qua. Per rispondere alla domanda: sono sicuramente di più le cose che ho lasciato di quelle che mi sono portato dietro.

Non si può fare finta di non ascoltare la droga più volte nei testi. Però con la precisazione di non toccare la coca. Ci sono regole non scritte nel vostro mondo?

Intanto ne ho parlato perché esiste e ci sono passato. Sono nato alle popolari e là, molta o poca, ci passa. Le regole non scritte sono quelle del buon senso. Quanto fa male la droga e quanto ha preso piede, lo vediamo tutti, e quelle pesanti sono fra le cose peggiori che ci possono essere.

Però tu ne parli in un modo un po’ diverso da come ne parlano altri….

Nel mio genere sento tanti che ci si vantano della droga e del suo utilizzo, io invece cerco sempre di mandare un messaggio positivo. È vero anche che per molti vendere droga a volte è un lavoro. Al giorno d’oggi non è facile trovarne uno e purtroppo cominciare a venderla è un modo per tirare avanti. Soprattutto crescendo in certi ambienti ho visto dei ragazzi che andrebbero volentieri a lavorare e che fanno stronzate solo perché hanno dei figli e non sanno come fare.

L’album si chiude con “Non sono nato per convincere” in cui c’è anche tanta rabbia: quanta se ne riesce ad eliminare scrivendo e cantando un pezzo come quello?

Diciamo intanto che per me scrivere e cantare le mie canzoni, fa smaltire molto. Come quando sei incazzato e ti metti ad urlare e poi un po’ stai meglio. Questo mi aiuta molto. Cerco di dare voce a quelli come me e mi auguro di riuscire a fare questo perché in fondo è il mio scopo.

Dopo aver ascoltato tutto l’album, non si riesce a capire qual è il genere preciso a cui ti si può ricondurre al 100%. Tu cosa puoi dirci per aiutarci?

Niente, questo è proprio quello che cerco di fare, da sempre, dal primo disco del 2008 fatto in casa. Ho sempre detto che voglio mischiare il mio genere per aprirlo a più persone.

Anche se ad orecchio “Peggio di me”, sembra quello che “vesti” meglio, è così?

Credo che all’ascolto, per qualcuno, può essere così perché un pezzo molto sentito e scritto appena dopo una situazione particolare. Diciamo che può essere visto come più centrato perché è uscito di colpo e l’ho inserito nell’album, anche se non era nei progetti, a caldo.

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Trifo (Pic by Laura Benedetti di MAYA photography)

Ah, non abbiamo ancora detto niente sulla produzione dell’album!

Su questo devo ringraziare Gianluca e Gugliemo Quartararo che hanno aperto l’etichetta per farmi fare un disco. Hanno avuto l’occasione e l’hanno sfruttata. Non registravo un disco da 7 anni e appena me lo hanno proposto con 300 sound records, che prende il nome da Matricola Trecento, non potevo che farlo immediatamente.

E sul freestyle cosa possiamo dire?

Il freestyle mi piace tantissimo anche se ormai non lo faccio più, forse perché sono cresciuto troppo. Quando lo facevo da giovane ero più lanciato e non me fregava di come andava una battle, ora invece è diverso. Per me adesso è una cosa da fare tra amici e non in una competizione, anche perchè i giovani di oggi spaccano troppo il culo. A volte mi capita di andare a sentire del freestyle e i ragazzi sono molto bravi. Oddio, poi anche all’epoca cerano già i mostri di freestyle, solo che adesso ha preso molto più piede e perciò molti più ragazzi che lo fanno. E poi i ragazzi spingono perché da giovane il cervello è più fresco, anche nel freestyle.

Ultima, maliziosa, domanda: cosa ti piace e cosa non ti piace del panorama piacentino rap – hip hop?

Oltre a Morrywood di cui ho già parlato, che mi piace molto, considerandolo piacentino, c’è Croma checome rap underground delle origini, è fortissimo. Non so se arriverà mai però per me è davvero bravo. Quello che non mi piace è chi viene dal benessere e vuol far vedere che è tutt’altro. Questo non lo sopporto. Per fare il rapper non è detto che devi venire per forza dalla strada, infatti stimo chi ha avuto una vita rose e fiori ed è così e lo sa anche cantare, però chi non essendoci mai stato vuole raccontare come è fatta la strada, quello non mi va bene. Io non parlo di ricchezza perché non ne so un cazzo, altri non dovrebbero parlare di strada quando non la conoscono. 

Summertime In Jazz