Qualche giorno fa abbiamo scoperto un giovane producer della nostra città che ha in carniere oltre 30 brani, che mette la sua musica su radio Piter Pan e con una bella storia alle spalle: Stefano Tirelli
A volte le conoscenze, anche quelle musicali, nascono completamente a caso. Questo è quello che è successo con Stefano Tirelli, un producer di Piacenza, che un bel giorno ci scrive: voi parlate di musica a Piacenza giusto? beh io un paio di cose le ho pubblicate…
Così ci siamo conosciuti e abbiamo scoperto che le ha pubblicate eccome! Senza andare nella descrizione delle sue produzioni (che tanto trovate ormai comodamente sul suo profilo Spotify), abbiamo conosciuto un grande appassionato di musica e delle sue meccaniche, che oggi appena ha un momento libero fa il producer di musica dance (oltre a fare chilometri in bicicletta. Ndr), e che ci ha parlato di musica a 360 gradi.
Stefano Tirelli, un producer tra radio, cassettine e altro ancora…
Ovviamente quel suo messaggio ci ha incuriosito molto e dopo un po’ di tempo siamo riusciti a conoscere Stefano, la sua musica e tutto quello che c’è dietro.
Se non sbagliamo sei uno di quei ragazzi che ha cominciato a fare musica nella sua camera, è così?
Assolutamente si. Prima con gli ascolti: negli anni ’90, tra compilation, le cassettine, Discoradio, Radio Deedeejay e il Deejay Time; e poi a produrre qualcosa in cameretta come tanti, in una famiglia in cui questa cosa non era di casa. Tra l’altro l’attività di producer è iniziata abbastanza avanti con l’età, dopo aver cominciato a lavorare come ingegnere, e ancora dopo mi sono reso conto che le cose che facevano ‘stavano in piedi’.
Quando ero bambino registravo i pezzi dalla radio sulle cassette e li vendevo agli zii per 2000 lire. Ovviamente in quel modo ne rovinavo un casino, sovrascrivendo i grandi classici italiani con la dance della radio, e ovviamente prendevo qualche nome. Le canzoni che registravo su quei nastri, però, le sono andate a ritrovare, poi, anni dopo, nei primi 2000, grazie ad internet e ai forum specialistici dell’epoca. Lì si parlava degli stessi dischi che registravo io su quelle casette 10 anni prima, è stata una emozione incredibile. La musica è il sottofondo della vita e riascoltare un determinato pezzo riaccende sempre un ricordo più o meno intenso.
Poi alla radio e alle tue produzioni, ci sei arrivato per davvero!
Eh si! Da un lato suono su Radio Piter Pan, un’emittente importante che trasmette in tutto il nord est d’Italia, dove vengono trasmessi i miei mix in fascia notturna nel weekend. Questo, da appassionato del mezzo radiofonico, mi dà una soddisfazione enorme, anche perché mi dà la possibilità di vedere le mie playlist su ‘1001Tracklists.com’, un sito di riferimento per chi segue la musica dance. Dall’altro lato con le tracce house che ho pubblicato, e che ormai sono una oltre trentina, tracce che nel 2021 mi hanno permesso di raccogliere oltre mezzo milione di play su Spotify, in attesa del nuovo che uscirà in estate. Numeri significativi, ma, tranquilli, non si guadagna molto, e non è quello l’obiettivo.
Ovviamente non è stato facile il percorso, all’inizio ho preso diverse porte in faccia, ed è giusto che sia così, però poi le soddisfazioni sono arrivate soprattutto perché quello che suono è quello che mi piace e che per me è originale, come l’ultimo pezzo pubblicato, la mia cover di ‘Love is in the air’ di John Paul Young che ho riarrangiato in chiave house e ricantata dall’amico Michele Cordani (in arte K’Ai).
Ora il luogo dove nascono i tuoi lavori qual è?
In casa mia in un piccolo studio, è lì che nasce tutto. Un’ambiente semplice, ‘less is more’. Una tastiera MIDI, il mio Mac, delle casse Pioneer di alto livello e le copertine delle mie canzoni più belle appese al muro di fronte. Mi piace così, lo trovo un posto stimolante.
Quali sono le molle e le basi da cui nasce e si crea un tuo lavoro?
Ovviamente non basta un posto ben attrezzato e familiare, ma serve tanta passione. Poi serve conoscere la musica, soprattutto del passato, avere orecchio e saper far suonare bene un disco nelle fasi di mixing e mastering per equilibrarne le varie linee (talvolta ci metto molto più tempo a perfezionare il sound piuttosto che a creare il brano stesso).
Poi ovviamente ci vuole l’investimento per l’equipment (cosa a cui si dà grande peso a volte, non serve chissà che se si hanno idee buone), un po’ di fantasia e, appunto, ascoltare tanta musica. Cerco di non copiare dagli altri. E anche nella selezione per le mie tracklist cerco di evitare di suonare un disco suonato già altre 100 mila persone. Questo è un motivo per cui in discoteca non ho mai suonato, non mi sentirei di mettere qualcosa soltanto perché mi viene richiesto dalla linea artistica del locale e che quasi certamente nemmeno mi piace.
Proprio sul continuare ad essere aggiornato, oggi che ascolti hai?
Tantissime cose che prima scartavo e che oggi invece trovo belle. Ho rivalutato molta musica pop dei 2000, ad esempio mi piacciono i Depeche Mode, già dagli anni 80 i loro pezzi suonavano bene, puliti, elettronici. Poi ci sono cose che invece, apprezzate da tanti, a me non fanno impazzire. Non tanto per l’artista, ma per i suoni. Per fare un nome: Battisti. Bravissimo e lo amano tutti, ma ascoltarlo con l’orecchio di adesso, per come registrato in quegli anni, non mi piace. Piuttosto preferisco una cosa moderna registrata e mixata con gli strumenti di oggi. Poi tra gli ascolti passo anche tra i cantautori come Cremonini, Venditti, Raf e Carboni.
Beh per le tue produzioni non sono nomi che mi aspettavo!
Si, capisco ma questo è legato al fatto che prima c’era un, chiamiamolo così, campanilismo che oggi non c’è più. Si parlava dei loro posti e delle loro città, oggi invece sono tutti cittadini del Mondo e quello che si trovava nei testi degli anni ’90, e prima ancora, oggi non c’è più. Prima i Carboni o ancora più indietro, De Andrè, parlavano di Bologna e Genova, oggi se ti chiedo di dov’è Blanco non lo sai, ma Gaber invece sì. D’altronde anche io non parlo con il “dj della porta accanto” ma probabilmente con un amico dj a centinaia di km da me, perciò questo è comunque uno spunto interessante su cui ragionare.
E invece sul tuo genere cosa ti piace?
Beh ce ne sono diversi ma comunque su tutti ci sono Bob Sinclar, Purple Disco Machine, Martin Solveig, Daft Punk. Cose che escono anche adesso ma che hanno fatto la storia della musica, come ad esempio per gli utlimi che ho citato, Get Lucky o Around The World, per non parlare di I gotta feeling prodotto da David Guetta, un brano che ha cambiato la musica moderna. Da quel pezzo momento tutta la musica pop è diventata dance.
Approfondiamo il tema…
Nel senso che le sonorità pop da quel momento si sono avvicinate tanto e sempre più spesso alla dance. Questo anche se negli anni passati le cose volevano rimanere ben distanziate, ora invece una è nell’altra. Ma questo ha un motivo molto semplice, ossia che la dance è musica bella, che fa ballare, è allegra e piace alla gente. Siamo una società veloce e una musica con del ritmo funziona. Ad esempio in Italia Jovanotti è cambiato con il tempo e ha saputo far entrare certe sonorità nelle sue canzoni, e infatti per me è un genio (e non a caso viene dalla scuola di Radio Deejay).
Siamo al “la musica mi piace tutta” oppure qualcosa no?
Ah no no, ad esempio la trap non mi è mai assolutamente piaciuta. Poco artistica e spesso anche volgare, perciò quella la teniamo da parte. Sarà che non sono più un ragazzino…
Nella tua crescita musicale c’è anche un altro piacentino, Ivan Kay.
Lui l’ho conosciuto tanti anni fa, forse 20, quando aveva un negozio in via Gadolini e tutte le sere, dopo la palestra andavo in questo dj shop. Lì mi faceva ascoltare le ultime uscite discografiche, e io che ero un ragazzino super appassionato andavo da lui a cercare e comprare la musica che poi ascoltavo a casa. Era un riferimento. Poi sono passati gli anni e l’ho ritrovato come producer affermato nel momento in cui ho cominciato a produrre e lì è nata una amichevole collaborazione che continua.
Che evoluzioni hai visto in questi anni?
Negli anni ’90 la forza delle radio e dei programmi, vedi appunto il Deejay Time, era molto presente ed era capace di influenzare i gusti, questo fino alla metà dei 2000 secondo me, da quel momento, la dance in italiano ha cominciato a far decadere sia come seguito sia come qualità. Poi internet su larga scala e Spotify hanno cambiato tutto. Nel mentre in Italia spariva la musica “maranza” e i generi che spopolavano in Europa come techno e house sono arrivati alla popolarità anche in Italia tanto che oggi la dance più mainstream, di fatto, è quel genere che una volta era underground e definito tech-house.
Quanto lavoro c’è dietro ad un tuo brano?
È tutto molto variabile. Innanzitutto bisogna dire che il lavoro è diviso in due parti: costruire la traccia e poi farla suonare bene. E la seconda parte è, come dicevo, a volte quella più lunga. I cambiamenti sono continui e così anche gli ascolti, in macchina, in studio e via dicendo. Diciamo che 3 o 4 settimane, lavorandoci spesso, ci vogliono tutte. Comunque quando devi produrre un pezzo house, se costruisci un bel giro di basso e appoggi su di un buon groove, corposo, deciso, il pezzo, poi, si scrive da se.
Siamo partiti con la radio e chiudiamo con quella. Con la radio “ascoltata”, oggi come va?
Tutto è un po’ cambiato. Ovviamente ascolto Piter Pan, poco M2O e One Dance. Diciamo che rispetto a prima ora è un sottofondo a cui non do più il peso di prima.