Simona Norato al Melville. Ecco l’intervista

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Un ospite importante salirà sul palco del Melville domani sera, dalla Sicilia arriverà Simona Norato. La giovane cantautrice toccherà il palco di San Nicolò, mercoledì 28, per presentare il suo album dal titolo “La fine del Mondo”, album che gli ha fruttato la candidatura al Premio Tenco come miglior opera prima del 2015. L’abbiamo intervistata per voi.

Simona, la tua storia musicale comincia nel 2000. Come?

Io facevo tutt’altro, cioè studiavo medicina e venivo da una famiglia lontana dalla musica, anche se da “brava ragazza” avevo studiato pianoforte al conservatorio. Poi un giorno ho accompagnato un’amica ad un provino, in un angolo suonavo la chitarra e quello che provinava la mia amica mi ha sentito suonare e da lì è cominciato tutto. Prima con un gruppo facevo cover e poi facendo da sola ho cominciato con degli inediti. Ho iniziato a fare esperienza così, ma nel frattempo è arrivata anche la laurea.

Una carriera formata anche da tanti “laboratori” e collaborazioni, quanto sono stati importanti?

Sicuramente fondamentali. Mi hanno dato la misura della mia personalità anche tramite lo “scontro” con altri musicisti. Sono state molto importanti le volte che ho sperimentato la formula “laboratorio”, specialmente con il progetto Miss Mousse. In quel periodo non c’è mai stato un concerto tradizionale, un po’ come fanno i teatranti. L’obiettivo era arrivare al concetto non direttamente, ma tramite percorsi. Usando il corpo e il movimento.

Fra le tante (citiamo Samuel Romano dei Subsonica e Antonio Di Martino), qual è stato l’incontro più illuminante?

Antonio Di Martino sicuramente per quanto riguarda la scrittura. Capire il suo percorso di scrittura ha cambiato anche il mio. Quello era il tipo di stile, una poetica letteraria, che è stata fondamentale per capire me stessa. Però è stato centrale l’incontro con Cesare Basile. Fra quelli con cui ho lavorato, è quello con cui ho capito che prima c’è l’uomo e poi la canzone. Scrivere per incarnare quello che si è.

Dopo tante esperienze, nel 2013 è cominciato a nascere “La fine del Mondo”, com’è successo?

L’album è arrivato per farmi ricominciare. Una fine che è stato un inizio. Dopo il periodo del progetto Iotatola che era molto, troppo, mainstream. Da quello mi sono staccata in modo violento perciò scrivere era una necessità. Volevo scrivere di me stessa, del mio mondo. Sentivo che avevano raccontata una Simona che non era quella vera. Scrivere era diventata un’urgenza

Insomma è nato da un momento difficile…

Purtroppo si. Il progetto Iotatola ha avuto un primo anno e mezzo molto buono, ma per merito del progetto in sé e non per merito di come è stato gestito dal management. Poi purtroppo ha prevalso la volontà di chi ci gestiva di vendere un’immagine a discapito del lato artistico. Lato su cui eravamo bloccate, a tal punto da non poter trovare delle date nostre. Per me non era una cosa accettabile, per me e per come intendo io la musica.

Con l’album è arrivata anche la candidatura al Premio Tenco come miglior opera prima…

Assolutamente una sorpresa. Non era assolutamente nei miei piani, anche perché certi ambienti, come ho spiegato sopra, non mi convincono più. E’ stato il mio manager a mandare il disco e quasi di colpo mi sono ritrovata tra i finalisti.

Prima e dopo la serata al Melville, ci sono state e ci saranno tante serate, e dopo il tour?

Io non vorrei scrivere subito un altro disco, voglio far maturare ancora queste canzoni. Per allontanarmi proprio da quelle velocità e da quelle metodiche che alcune etichette ti impongono. Stiamo lavorando sul secondo video dell’album ed il sogno è quello di fare un video per ogni canzone. E poi lavorare sul live, farlo crescere, modellarlo come una scultura, anche perché ogni singola canzone che è stata modellata quasi artigianalmente per essere un mondo completamente diverso da quella precedente.

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