Il mondo del rap e dell’hip-hop a Piacenza è continuo movimento. Questo non da oggi, ma da mesi e anni. Un ragazzo che prima in crew e oggi come solista, sotto l’etichetta Alastor Records, continua nel suo percorso musicale è Nicolò Sarasini in arte NLS. Lo abbiamo incontrato qualche tempo fa e ne è uscita un’intervista abbastanza lunga frutto di una chiacchierata molto più lunga. Lo abbiamo incontrato per il lancio del suo primo mixtape (più avanti c’è la risposta sulla scelta di questa definizione) che si chiama “Matrioska”.
Partiamo dall’inizio: qual’è la tua formazione sul tuo genere?
Io cominciato ad ascoltare rap e hip-hop a 12 anni e di conseguenza sono cresciuto fra Bassi Maestro, Mondo Marcio, i primi Club Dogo e Fabri Fibra, perciò cose vecchie rispetto ad oggi. Però credo che crescendo musicalmente con quelle cose, con quegli artisti e con quei pezzi, apprezzi e impari a scrivere in un determinato modo, e quella generazione sa scrivere per davvero!
E sulle ultime cose di oggi come ti rapporti?
Le cose di oggi mi gasano e mi piace il concetto che certe sonorità, come ad esempio la trap, 5 anni fa prendevano sberle in giro. Adesso i ragazzini che iniziano ad ascoltare queste cose, non saranno capaci di scrivere testi di una volta, quella che sta crescendo sarà più una generazione di beatmaker.
E adesso la critica: questa è una cosa che avrebbe potuto dire anche un J-Ax qualche anno fa…
Secondo me poteva dirlo però il discorso è diverso. Quando stava arrivando una nuova generazione è stato più o meno lo stesso momento in cui era lo stesso J-Ax a spostarsi sul commerciale, quando magari Fabri Fibra era ancora su cose hip-hop classic e solo dopo è passato ad “Applausi per Fibra”. Lì, per tutti e due, c’è stata un’evoluzione degli artisti, adesso invece i rapper di oggi sono nati dal nulla, sono usciti con questa roba totalmente nuova, anche se portata dall’America dove c’è già da anni. Questa generazione è odiata da molti, però qualche personaggio del genere con un occhio più da imprenditore, ad esempio Gué Pequeno e Marracash, hanno capito che l’hip-hop tradizionale è finito. Poi, tornando a Fibra, ha fatto l’esatto contrario sfottendo questi nuovi ragazzi, come ad esempio ha fatto anche Salmo.
Come ci presenti il tuo “Matrioska”?
Sono 9 canzoni costruite su 9 basi inedite ideate tutte da Mill Gates (Millo) e registrate tutte nel suo studio, tutte molto belle e che ricordano i Club Dogo. L’idea era quella di fare un album intero, però con il tempo, durante la sua costruzione abbiamo visto un cambiamento totale del rap in Italia in soli 6 mesi, proprio quando l’album doveva uscire. Ci siamo guardati e abbiamo detto ok, ce lo abbiamo, homemade e a costo zero, ma siamo in ritardo e possiamo fare ancora meglio, seguendo le nuove linee del genere e allora chiamiamolo mixtape e intanto cominciamo a preparare qualcosa di nuovo.
Cosa c’è dentro?
Matrioska parla tanto di me. Di tante situazioni particolari che ho vissuto nell’ultimo periodo. È un passaggio fra quello che facevo prima e quello che faccia adesso. C’è dentro un grosso lavoro con Millo che per me è il miglior beatmaker di Piacenza. Lui è uno che preferisce non uscire la sera e mettersi a fare un beat.
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Perché è arrivata la decisione di “metterti in proprio”?
Ho deciso di fare un album da solo perché avevo davvero bisogno di fare qualcosa su alcuni temi che sentivo molto vicini. Volevo fare qualcosa su di me con pezzi alcuni molto profondi e alcuni meno, legati ad un momento pieno di preoccupazioni, qualche eccesso, e molto lavoro su me stesso. Un lavoro a briglia sciolta senza dipendere da nessuno. La parte musicale invece è un passaggio perché è in un momento di evoluzione che voglio esplorare con cose nuove. Portare suoni che adesso qua non ci sono, come alcuni che già presenti nella musica francese e che da noi non sono ancora arrivati.
Come detto l’etichetta è Alastor Records, di Dario “Piccio” Russo. Come è stato il passaggio da averlo come collega ad essere la tua etichetta?
Per me è stato tutto facile perché Piccio è uno di quelli che di rap e hip hop ne sa di più, come informazioni e trascorsi, per me era già un po’ un confronto continuo con lui anche quando era “solo” un artista che cantava con me. Passare sotto la sua etichetta è stato super positivo sia come solista sia come parte dei Klondike. Gestire il costo di produzione di un album non è semplice, come non è semplice trovare serate, collaborazioni e legarsi ad un marchio di abbigliamento per lavorare anche sul marketing, avere Piccio che nel frattempo ha avuto questa illuminazione di cambiare il suo status, ci ha aiutato molto. Questo anche per un discorso di responsabilizzazione sia per lui, sia per me, sia per il resto della crew.
Piccio è molto importante per te, da quanto tempo vi conoscete?
Piccio è proprio un amico di infanzia, abitava a I Vaccari e lo conosco da sempre. Un’amicizia di quelle indirette però, ci conoscevamo ma ci frequentavamo solo perché abitava lì. Lui si è trasferito ma siamo sempre rimasti in contatto, poi ho conosciuto Mucci circa 5 anni fa, abbiamo cominciato a fare le prime cose coi “Viceversa” e con il rap ci siamo ritrovati.
L’influenza di Millo sull’album?
Millo è un po’ il faro, lui c’è dentro fino al collo con le sonorità nuove di questo ultimo anno. Come ascolto, ha insistito più di una volta per cambiare qualcosa nei pezzi, dettando una linea di produzione molto più chiara. Sicuramente è il centro della produzione anche per l’importanza che ha oggi la strumentale. Con lui è un confronto continuo perché il beatmaker è lui, è lui che riesce a creare un beat e nello stesso momento sta già pensando a come tu dovrai contarci sopra.
Com’è entrare in questa parte di mercato musicale?
Tecnicamente è molto facile. Basterebbe avere dei soldi, trovare un artista indipendente che vuole fare una collaborazione con te, magari anche un bel video, chiamando qualcuno che ti fa una base forte e sponsorizzarla. Ovviamente poi le cose non funzionano sempre così, però in alcuni casi è anadata proprio in questo modo.
Rispetto a prima immagino che anche nel rap e hip-hop siano cambiate molte cose…
Prima chi faceva il nostro genere, non lo conoscevi proprio. Non c’erano canali, quando invece adesso ci sono Youtube e Facebook. Poi oggi ci sono ragazzi bravi come Skill e Dumboy, giovanissimi che vanno a scuola e hanno ancor tanto passaparola fra i ragazzi della loro età che vedono tutti i giorni. È qualcosa che nonostante tutto funziona sempre e su cui Piccio vuole investire ancora molto.
Come vedi il tuo genere a Piacenza?
Da noi ci sono ragazzi che si impegnano molto, come ad esempio Ricky Etzi che promuove molto il rap e l’hip-hop e per lui ho molta stima anche se non lo conosco di persona. Poi per quanto riguarda me e la Klondike, in particolare io e Mucci, piacciamo di più a chi è fuori il mondo dell’hip-hop, meno invece da chi è nel genere in un modo duro e puro che ci vedono come quelli che fanno questa musica solo per moda anche se non è assolutamente così. C’è chi anche da noi vede l’hip-hop come nicchia, che 20 persone per divertirsi bastano, ma quello è old school, vogliono essere completamente “real” ma si perdono delle cose che invece noi ci godiamo. Noi, nel nostro, cerchiamo di sostenere tutti senza farci stare sulle “scatole” nessuno, però con il concetto molto chiaro che il culto di restare per forza nell’underground ormai è morto.