Un altro album in uscita in questo autunno. Stavolta arriva da i Maladissa, Mirko Mariani e Alessandro Colpani, un duo che abbiamo cominciato a conoscere nella sua musicale imprevedibilità già un po’ di tempo fa e che ora è pronta per lanciare un album di 7 tracce (di cui trovate anche il teaser) dal titolo Through The Fukin Money To The Fuckin Rock Tour, che hanno “comodamente” abbreviato con l’acronimo “T T F M T T F R T”.
Dopo la mini-release di venerdì, l’appuntamento ufficiale è per…
Venerdì 3 novembre al The wall di Montale, a cui seguiranno la serata del 18 novembre al Pabbino e mercoledì 29 agli Amici del Po a Monticelli. Prima di noi, al The Wall, ci sarà il progetto solista folk punk di Ale Bera, con un set praticamente acustico, che si chiama Nomad by fate, poi noi che per l’occasione speciale saremo sul palco con basso, batteria e senza chitarra elettrica.
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Cosa sentiremo venerdì sera?
Tutto il cd nuovo in acustico, suonato in mezzo ad altri nostri pezzi, oltre alle sette canzoni che si troveranno nel prossimo album, stavolta tutto elettronico, che uscirà nel 2017. Un lavoro che è già in dirittura di arrivo, registrato negli studi di Dancetool, ma che lanceremo più avanti in modo da dare più respiro a Through The Fukin Money To The Fuckin Rock Tour.
La scelta della modalità del live di venerdì, dove nasce?
Dopo la fine delle registrazioni dell’album abbiamo cominciato a provare questa formula con basso e batteria, togliendo le distorsioni, per fare qualcosa che ha noi sembra essere una proprio più bello. Una via mediana fra la versione acustica classica e quella rock band. Un modo per tirare fuori il centro, il nucleo dei pezzi.
Un concept album nato in un tour… per arrivare ad un tour!
Com’è stato costruito questo album?
Trough the fuckin money to the fuckin rock tour è nato attraverso le situazioni che abbiamo visto nei posti dove abbiamo suonato, ed infatti tutti i pezzi rimandano ad una occasione particolare da cui abbiamo tirato fuori una canzone.
Qualche anticipazione?
Già dai titoli un po’ si possono capire le tematiche. Una canzone si chiama “Al pub” e facilmente è riconducibile alla realtà dei locali che spesso ci troviamo davanti, poi “Festival” sulle rassegne musicali. Dopo troviamo “Giulya” che invece è legata a Giulia Pintus de Le foglie al vento, che ha fatto l’illustrazione per l’album, un disegno che ironizza sul discorso rock-musica del diavolo, in cui Mirko ammaestra con il suo flauto la musica sotto forma di serpente. Poi ci sono “Il tour” e “Imprevisti” in cui si ritrovano alcune cose che possono capitare e che sono capitate durante le varie serate, “Il caffè letterario” che ironizza un po’ su chi si dà una certa aria, e che abbiamo suonato sul palco di Tendenze un po’ come banco di prova dell’intero album. Senza dimenticare “Rockettari un cazzo” che nasce da una scenetta in un posto dove qualcuno di atteggiava a grande rocker ma poi non ha avuto il coraggio di mettersi una parrucca per una piccola gag.
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Quando sono arrivati questi 7 pezzi?
Sono nati tutti negli ultimi due anni, durante questo tour che noi raccontiamo (un tour che abbiamo definito come un “catta su di date”). Un album un po’ casereccio, ma senza vantarcene. In parallelo alla nascita dei pezzi è venuto a costruirsi anche un album di foto, partito da Orzorock 2014 in occasione del nostro primo live insieme, in cui abbiamo cercato di inserire uno scatto di ogni occasione in cui abbiamo suonato. Si chiama Concertography ha all’attivo più di 30 foto, e serve a dare l’idea di quando il tour è iniziato e a che punto è.
Oltre ai titoli e alla mini-descrizione, qual è il succo di questo lavoro?
L’album vorrebbe raccontare il percorso accidentato che ci si può trovare davanti nel momento in cui si è in tour, soprattutto in una situazione di provincia, che dovrebbe finanziare un album futuro. Tutto questo sempre ironizzando su quello che dovrebbe essere il mondo del rock “sporco” che poi invece di quell’alone un po’ mistico, non ha niente. Una presa in giro sul parlare del “disco”, del “tour”, del “rock”, di cose che dovrebbero essere sempre molto grosse e che invece poi ti rendi conto che sono tutte piccole cose. Insomma, quegli stereotipi delle band, in cui ci siamo anche noi, che poi si spengono su un palco dove magari non ti caga nessuno (e però va bene lo stesso).