Domenica 12 settembre 2021 è stata eseguita le prima rappresentazione assoluta di “Lapeggiamenti, amenità, querimonie et altri tremendi affetti nella nobilissima Florentia” nella spettacolare cornice di Palazzo Farnese che ha fatto da naturale e sontuoso fondale.
“Lapeggiamenti”, si mantiene in equilibrio tra tradizione e modernità, ed è l’opera perfetta per chi, come me, ha un orecchio non abituato all’ascolto di nuove esperienze musicali.
Un’opera che avvince e che riesce a tramutare, attraverso raffinati artifizi di prosa e musicali, l’essenzialità in raffinatezza, la semplicità in ricercatezza, la sobrietà in preziosismi.
Che all’apparenza, volgendo uno sguardo superficiale al libretto e allo spartito, potrebbe apparire modesta nella sua concezione e nel suo sviluppo.
Niente di tutto questo, anzi, “Lapeggiamenti” può rappresentare il punto di partenza per concepire un nuovo modello di lirismo vocale e musicale. Un nuovo modello che nasce dalla capacità di trovare non solo un equilibrio tra le necessità sceniche di un’opera lirica e gli obblighi di distanziamento sociale di questo periodo, ma che, da queste necessità, sviluppa un nuovo approccio musicale denso di innovazione e creativa complessità.
La quadra l’han trovata inizialmente i due autori, Claudio Saltarelli per il testo del libretto (QUI la sua precedente intervista) e Joe Schittino (QUI la sua intervista) e l’hanno trasmessa agli esecutori (cantanti, coro, direttore d’orchestra e musicisti)
Saltarelli ha scritto la trama solo su due personaggi e Schittino ha tessuto la musica su un’orchestra ridotta.
Ed è qui che entra in scena la maestria degli autori, quella dei cantanti, dell’orchestra e del coro.
Come per incanto i personaggi dell’opera da due diventano quattro e anche più!
Lapo (magistralmente interpretato dal baritono Gianpiero Ruggeri) e Dante (nell’impeccabile interpretazione di Blagoj Nacoski) vengono affiancati da un coro che si fa voce singola e collettiva, che dialoga con i due interpreti, li incita, li sprona, li incalza.
Al Coro, come ulteriore personaggio, si aggiunge l’orchestra. Elemento di rottura come sotto ci dirà lo stesso Schittino.
Un’opera che riesce ad amalgamare un passato remoto nel linguaggio e nella forma della scrittura (i due personaggi come detto, sono Lapo Saltarelli e Dante Alighieri, coetanei e amici e poi nemici vissuto 750 anni fa), con il presente, attraverso il percorso emozionale che lega, e che attuano i due interpreti, decisamente impregnato di contemporaneità
Che lega classicità e contemporaneità anche attraverso la sua forma musicale, capace di creare un continuo altalenarsi emotivo con passaggi tonali che danno sicurezza e tranquillità, subito interrotti da sbalzi umorali nelle tensioni e nei fraseggi dissonanti.
Che mette a dura prova gli interpreti sempre in scena senza passaggi sicuri, ma continuamente tenuti sulla corda dal testo in rima che contrasta con il carattere scontroso e puntiglioso dell’orchestra.
E’ un’opera che ha la preziosa peculiarità di poter aiutare in un percorso di avvicinamento al linguaggio operistico e più precisamente all’opera contemporanea.
Un’opera, per spendere anche aggettivi contemporanei, “progressive” e “rock” nella sua concezione.
Ed è attraverso questa considerazione che “Lapeggiamenti” assume un significato ancora più profondo e importante e può essere davvero considerata il trait-d’union tra “vecchie” e “nuove” generazioni perché entrambe hanno la possibilità di imparare e addomesticare il proprio orecchio musicale prendendo spunto dai parti musicali “amiche” e ben conosciute, per abbattere le barriere culturali, pretestuose e basate su preconcetti, che non permettono l’evolvere verso un nuovo approccio al lirismo moderno.
Un’opera che può essere il grimaldello per scardinare il timore del nuovo che spesso e volentieri diventa barriera e pretesto per non voler “osare” oltre la consueta e, perdonatemi, a volte consunta, classicità.
Preziose diventano quindi le considerazioni degli autori degli interpreti.
Claudio Saltarelli (autore del libretto)
Del lavoro posso dirti che sono stato contento di proporre qualcosa di estremamente originale che ora partirà per esecuzione all’estero dove, spero proprio, sia apprezzata.
Un grazie a tutti gli esecutori impegnatisi in un lavoro notevole: tutti artisti di grande valore, apprezzati internazionalmente.
Una riflessione la merita l’approccio del pubblico piacentino. Un po’ scarso per un prima. Come dicevo, pur ringraziando i presenti che ho sentito partecipi e coinvolti, occorre aprire una riflessione sul come poter coinvolgere gli appassionati di lirica, e non solo loro, ad operazioni come quella che abbiamo proposto.
Joe Schittino (compositore della musica) che ha il pregio di darci una lettura didattica dell’opera.
Grande soddisfazione per la bella serata.
Non è un lavoro facile. Lo stile musicale è molto variegato e complesso e si tratta di una vera e propria prova del fuoco per i cantanti, sia a livello fisico sia come memoria della parte.
Ad esempio un elemento di difficoltà è l’assenza dei cosi detti pezzi chiusi come in un opera tradizionale. E quindi non ci arie facilmente riconoscibili.
Inoltre la linea del canto fluisce continuamente in un recitativo pieno di melismi di note lunghe con cambi repentini di umore: dalla rabbia alla malinconia, all’illuminazione, all’amicizia, perchè questa è chiaramente un’opera sull’amicizia fraintesa.
E’ tutto in uno sviluppo continuo, dall’inizio alla fine.
Questa impostazione ci riporta alla quotidianità, perchè è così anche nella nostra vita quotidiana: si vive il presente, l’attimo attuale e non si sa cosa possa capitare un secondo dopo. E, secondo me, in questo senso, l’opera tenta di suggerire un muoversi reale del tempo nel personaggio e attraverso il personaggio.
I cantanti sono stati eccezionali, nella resa di tutti questi stati emotivi.
Uno dopo l’altro a ruota senza sosta e per uno sviluppo complessivo di ben 1 ora e mezza
Poi viene il coro: l’elemento di rottura di questo flusso. Il carattere di questo personaggio collettivo è festante, presente, quasi guerresco e fa da elemento di contrasto con il lirismo fondamentale dei personaggi.
L’orchestra poi è trattata in modo particolare perchè da pochi strumenti, (i due quartetti, il quintetto di fiati, oltre a piano e percussioni) si cerca di ricavare l’effetto della grande orchestra.
E’ un gioco continuo di scambi, di raddoppi, di espedienti tecnici applicati senza soluzione di continuità, uno dopo l’altro. L’orchestra accompagna i cantanti in modo frantumato, ci sono mille interventi che sostengono una nota e che successivamente danno l’attacco di una frase, per poi concludere un episodio.
E’ un’orchestra che “entra ed esce” in continuazione dall’azione.
E’ un elemento inquieto, quasi acquatico, che interviene quasi fosse un altro personaggio.
Come considerazione personale posso dire che sono stato davvero contento della resa di tutti gli artisti intervenuti nella speranza che ci siano altre possibilità di ascoltarla.
Video: alcuni passaggi della Prima
Blagoj Nacoski: Tenore nella parte di Dante Alighieri
Non è comune oggi giorno, come lo era magari un secolo fa, essere esecutori di un’opera musicale appena scritta, commissionata e dare forma, per primo in assoluto, ad un personaggio che nasce ed esiste nel momento in cui l’artista sale sul palco e si alza il sipario. Prima di allora Dante Alighieri, nella narrazione di quest’opera, era il pensiero geniale dell’autore, o meglio, degli autori (librettista e compositore), il cantante privato della sua mente, ma nella prima esecuzione conclama la sua esistenza all’intero pubblico.
E’ una responsabilità molto grande e quindi un’emozione incommensurabile. In quest’opera in particolare ho dovuto fare i conti con la psicologia di un personaggio sì noto a noi, ma non nel contesto in cui è ambientata l’opera, ovvero questo rapporto con il suo amico/nemico Lapo Saltarelli. Un Dante a noi sconosciuto.
Da un lato meramente tecnico la scrittura vocale presentava diverse difficoltà a servizio della musica e della scena.
Per me l’opera di Claudio Saltarelli e Joe Schittino rappresenta la quarta opera in prima esecuzione mondiale alla quale prendo parte quindi in un certo senso sono abituato a queste operazioni.
Appena finita questa rappresentazione la parte del tenore in un Requiem composto quest’anno, che si intitola “Requiem Mediterraneo”, in memoria dei migranti caduti sulle rotte del nostro mare, che avrà la sua prima a Milano presso il Triennale Teatro dell’Arte il 3 ottobre.
Le difficoltà quando si studia un’opera totalmente nuova sono per lo più musicali, si tratta di musica mai sentita, quindi si allungano di molto i tempi dedicati allo studio di essa.
Mi spiego meglio: se per esempio un’opera come La Traviata, dovendo studiarla ex novo la imparerei in un quarto del tempo rispetto a questa, perchè il linguaggio musicale proposto da “Lapeggiamenti” possiede un linguaggio musicale contemporaneo.
Devo dire che il compositore Schittino è stato benevolo e ha “trattato molto bene” la voce del tenore che in quest’opera rappresentava Dante.
Anzi, come ho già detto anche allo stesso Schitti, la linea vocale è assolutamente adatta alla mia voce, come se l’autore mi conoscesse molte bene mentre, nella realtà ci siamo incontrati per la prima volta proprio in questa occasione.
Infine, da ultimo ma non per questo meno importante, una considerazione anche sul testo dell’opera. La sensazione è che un testo ed una storia di 7 secoli fa si possono assolutamente utilizzare nella creazione di un’opera oggi. Dirò di più, trovo questo connubio molto affascinante sia per noi interpreti che per il pubblico. Spero che “Lapeggiamenti, amenità, querimonie et altri tremendi affetti nella nobilissima Florenzia” trovi spazio nel cartellone di qualche teatro e quindi venga rappresentata in piena forma scenica e perché no magari in un dittico, mi viene in mente il Gianni Schicchi pucciniano per esempio. Credo che i direttori artistici e/o i sovrintendenti dei teatri possono osare un po’ di più proponendo titoli nuovi.
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