Eccolo, finalmente, il nuovo lavoro degli Ants. Un album che è cominciato a nascere ormai tanto tempo fa (in una galassia lontana) e che ha visto la luce solo in questi giorni, alla fine del 2015, come un botto, giustamente a capodanno (o quasi).
Il nome del disco è semplicemente “Ants”. Tanto basta per farci stare dentro tutto. Undici tracce fortemente e intimamente rock, pensate, scritte, suonate e registrate in quasi 3 anni. Tre anni in cui i ragazzi e i loro pezzi. Sono cresciuti e si sono formati fra alti e bassi, campagna e città, soluzioni e problemi, in cui alla fine, in modi diversi, ha vinto sempre la prima soluzione.
Dato che non ci piace fare i dottoroni della musica, di un prodotto o di una situazione artistica ci piace far parlare i diretti protagonisti ossia, Guglielmo, Michele, Francesco e Federico. Insomma, gli Ants.
E alla fine ci siete riusciti…
Eh già. Proprio quando ormai non ce lo aspettavamo più nemmeno noi. Tante volte (quasi ogni giorno) ci siamo detti “non ne veniamo più fuori”, ed invece dopo quasi 3 anni ce l’abbiamo fatta.
Tutto nasce all’inizio del 2013, giusto?
Si, quello è stato il momento dei grandi cambiamenti. Dopo il periodo come Ants Army Project, siamo diventati Ants, ma soprattutto quello che è cambiato è il progetto. Volevamo qualcosa di diverso, essere più diretti e più sintetici, senza tanti fronzoli, cercare di arrivare dritti al punto, passo dopo passo. Come le formiche.
Cosa c’è di nuovo rispetto alle esperienze passate?
Fondamentalmente di nuovo c’era della gran rabbia da buttare fuori. Dovevamo ricominciare da zero e volevamo farlo dicendo la nostra. Tutti sentivamo che avevamo qualcosa dentro da far uscire. Questo album è arrivato in un momento molto particolare per tutti dal punto di vista sociale ma anche per ognuno di noi, delle nostre vite. Durante il passaggio nell’età adulta. Infatti di spensierato nel disco, non c’è proprio nulla.
Anche il suono è cambiato…
Rispetto al passato c’è un sound più centrato ed intellegibile rispetto al passato. Fondamentale per mettere a fuoco questo aspetto è stato il lavoro insieme a Cristiano Sanzeri. Sui pezzi che avevamo in testa, in cui musicalmente la luce è stata sempre quella di Springsteen, abbiamo lasciato lo scheletro e abbiamo lavorato sugli arrangiamenti curando i particolari.
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Un disco cresciuto in 3 “ambienti” diversi, quali?
Il Trebbia, la città e l’America. Il Trebbia perché abbiamo scelto una piccola casetta appena fuori Rivergaro dove registrare il grosso del lavoro. La città, Piacenza, perché è ai Giardini Sonori che il disco è stato ultimato. L’America perché è lì, a Bloomington in Indiana, dove è stato fatto il master. Master a cura di Paul Mahern che alle spalle aveva già collaborazioni con “tipi” come Willie Nelson, Neil Young e Iggy Pop.
Perché andare in una “casetta” ai bordi del Trebbia per mettere in piedi un album?
Intanto il Trebbia, e per quasi tutti noi Rivergaro in generale, è una casa. Un punto dove tornare e da dove ripartire. Poi perché volevamo un contesto intimo dove fotografare quel momento, tutti insieme isolati dal resto pensando esclusivamente al disco. Anche se alla fine, musicalmente, il risultato non è stato esattamente quello che pensavamo, grazie alla situazione che lì si era creata, abbiamo trovato tante soluzioni giuste che non ci fanno stancare del nostro disco anche se è da tanto che ormai era pronto.
Proprio su questo: i tempi sono stati lunghi…
Si. Molto. A questo ha contribuito il fatto che abbiamo cambiato 3 volte bassista (prima di Francesco Pini, si sono alternati Simone Magnaschi e Andrés “Nando” Maloberti. Ndr). La cosa ci ha rallentato, soprattutto tra settembre e ottobre 2013, ma dall’altro lato ci ha creato più ansia e voglia di finire. Un album che è cresciuto con noi diventando quasi un figlio. E’ stato un parto abbastanza lungo che alla fine non sapevamo come sarebbe uscito.
Passando ai testi, cosa ci dite?
Intanto che per la prima volta sono stati scritti da tutti i componenti. Alcuni erano già pronti come quelli che aveva scritto Federico, e altri sono arrivati col tempo un po’ ad opera di tutti. Tutto questo in diversi spazi temporali. Un disco a due facce. Da un lato c’è tanta ribellione, rabbia e disillusione, ma con alla fine la speranza, dall’altro lato invece si parla d’amore e di amicizia. Un lato in cui siamo uniti, l’altro in cui escono i sentimenti dei singoli.
Andando al succo, gli Ants cosa ci vogliono dire con queste 11 tracce?
Il senso ultimo è che non bisogna mollare. Volevamo in questo momento sociale molto complicato per tutti, dare una voce alla nostra generazione. Una generazione a cui era stato promesso tanto e che invece si rende conto di non avere più niente. Volevamo che, come i ribelli contro l’Impero in Star Wars, bisogna rimanere uniti, tutti insieme, contro il lato oscuro. Il rock’n’roll è l’unica cosa che può riportare l’equilibrio nella forza.
Che il rock sia con voi: http://www.rockit.it/antstheband