Emozionato, anzi, emozionatissimo, alle 19 in punto, l’orario definito per l’intervista, chiamo Alberto Fortis. Telefono occupato.
“ok aspetto l’sms di linea libera e richiamo e…” non faccio nemmeno in tempo a finire il pensiero che il cellulare squilla: “Pronto sono Alberto Fortis”
Inizia così una lunga telefonata con uno dei cantautori che hanno accompagnato la mia giovinezza e la mia vita dall’epoca del suo primo album, “Alberto Fortis” appunto, con all’interno le celeberrime “Milano e Vincenzo”, “A voi romani” e “La sedia di Lillà”. Autore anche di uno fra i più visionari album dell’epoca dal titolo “tra demonio e santità”, concept album sull’eterna lotta tra il bene e il male, ma anche di quel grande album “La grande grotta” nel quale troviamo “Settembre” che sfido chiunque, della mia generazione e quelle successive, a non averla canticchiata almeno una volta.
La carriera di Alberto Fortis si sviluppa nell’arco di oltre 35 anni durante i quali, con costanza, è sempre riuscito ad inserire una sua canzone, una piccola perla musicale, che rimane nel cuore delle persone. Ma Alberto Fortis è anche uno dei cantautori italiani con le più importanti collaborazioni. Ha iniziato prestissimo, nel 1979 all’inizio della sua carriera, aprendo il concerto di James Brown a Modena. Ha continuato con frequentazioni importanti come Paul McCartney, Yoko Ono, George Martin (il produttore dei Beatles), la London Philarmonic Orchestra, Gerry Beckley (degli America). Alberto Fortis è impegnato anche attivamente in campo sociale come testimonial dell’associazione City Angels (associazione umanitaria di volontariato sociale) e dell’AISM.
Ed io, oggi, ho la fortuna di essere proprio al telefono con lui! Ha accolto l’invito non per un’intervista per una grande testata giornalistica, ma per un piccolo sito musicale di provincia (bè.. che forse, alla fine, tanto piccolo non è).
Ho letto che hai prodotto dopo 8 anni un disco di inediti: “Do l’anima” di cui ho ascoltato solo la main-track dallo stesso titolo. Ci puoi dare una tua descrizione di questo album?
Il disco, con le debite proporzioni, posso considerarlo come un ritorno alle origini, quelle de “La grande grotta” tanto per intenderci. Nasce dalla selezione tra oltre 40 canzoni. Il metro che ho, anzi abbiamo, adottato fa riferimento al tema principe del disco, quel togliersi la maschera, in evidenza anche dalla foto di copertina.
Hai detto “abbiamo” adottato: con chi hai collaborato per questo album?
Il disco non è solo opera mia ma posso dire che è stato costruito a 4 mani insieme ad un grande musicista e produttore che è Lucio Fabbri: “Do l’anima” è nato sperimentando sul campo insieme a lui. Abbiamo adottato una procedura quasi da laboratorio che ha dato buoni frutti; dall’idea si passava a provarla, a verificarla e abbiamo suonato e risuonato ogni pezzo finchè le canzoni non acquisivano il senso e il significato che volevamo trasmettere. Abbiamo voluto creare ancora la sensazione di una band attorno alla voce, con uno sguardo molto attento alla forza melodica delle canzoni e dei relativi testi.
La canzone che dà il titolo all’album, “Do l’anima”, è emblematica e spiega il tema fondamentale attorno al quale gira tutto il disco, mi pare.
Sì, è vero. Posso dire che era da tempo che non affondavo, che non entravo, così in profondità nei testi. “Do l’anima” esprime proprio questo concetto. La maschera è l’elemento simbolo del disco; la maschera ha sempre rappresentato fin dall’antichità, nel teatro greco ad esempio, il senso della trasposizione esterna di quello che si vorrebbe essere, di come vorremmo che chi ci sta accanto ci vedesse. In questo caso è volutamente mostrata per far percepire che sempre combattiamo, inutilmente, per raffigurarci o presentarci in un modo diverso da quello che siamo. Che facciamo una fatica enorme per crearcela ma è una fatica vana. Nel disco la maschera è quindi presente come simbolo, ma soprattutto per essere tolta e perché ci si possa mostrare per quello che siamo realmente. Viviamo in un momento epocale, dove la televisione e la radio inducono facilmente a creare una informazione che predispone le persone a mostrarsi per quello che non sono. Ma la sfida è, spero, volta a cercare una ristrutturazione personale: a gettare la maschera. E’ una partita molto ardua, da giocare
Ed è anche il disco delle grandi collaborazioni
In “Do l’anima” sono presenti grandi artisti. Oltre a Lucio Fabbri, e Stefano Brandoni ho avuto il privilegio di avere Roberto Vecchioni e Biagio Antonacci. Questi due ultimi grandi artisti sono venuti grazie all’amicizia che col tempo si è creata: con Vecchioni oltre all’amicizia ci lega lo stesso produttore, Lucio Fabbri appunto. Biagio Antonacci l’ho conosciuto perché all’inizio della sua carriera mi faceva leggere le sue canzoni per avere consigli, e da allora non ci siamo più persi di vista.
Passando a temi più personali. Qual è stato uno dei momenti più emozionanti della tua carriera?
Dal punto di vista professionale, è, fuor di dubbio, l’incontro quasi casuale, con tutti i musicisti che hanno dato corpo al disco “La Grande Grotta”. Ad un concerto in un pub di New York ho assistito ad una jam session di Al Jarreau insieme ad altri musicisti fra cui Abraham Laboriel. Lui è stato il cardine su cui è poggiata la collaborazione anche con Alex Acuña, Dean Parks e Mitch Holder, John Phillips, Garey Mielke per la creazione di La grande Grotta. Il senso di umanità e professionalità che mi hanno insegnato questi musicisti, che avevano collaborazioni “mondiali” e che, con lo stesso entusiasmo hanno condotto me, per loro perfetto sconosciuto, nella creazione di questo disco, è stato un grandissimo insegnamento.
Dal punto di vista umano, l’incontro con una grandissima donna, Cynthia Lennon, moglie di John. Capire come ha affrontato le vicissitudini della vita, dalle quali è uscita con le ossa rotte, ma che ha imparato a fronteggiare e a sconfiggere mi ha insegnato la bellezza terapeutica della musica.
Concludiamo con i tuoi sogni nel cassetto per il futuro
A livello artistico, ne ho uno che in parte sto cercando di realizzare. Si tratta di un musical per il quale ho scritto sia la musica che la story board. Attualmente è nelle mani di Tom Kitt che, tanto per intenderci è quello che ha scritto “Next to normal” uno dei musical di più grande successo degli ultimi tempi vincitore del premio pulitzer nel 2010 e di tre Tony Awards nel 2009. Vediamo quello che capita. Dal punto di vista personale,dopo tante relazioni finite, chissà, trovare finalmente la compagna della mia vita.
E’ stata un’intervista inaspettata, intensa, con un grande artista che, dopo averlo intervistato, avrò il piacere di ascoltarlo cantare le sue canzoni il 1° maggio in piazza Cavalli.