Giardini Sonori, 29100, Tendenze e altro ancora: ecco l’intervista a Nicola Curtarelli

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Questa intervista a Nicola Curtarelli nasce da un suo post di qualche settimana fa in cui invitava tutti ai Giardini Sonori per un evento (AFA. Ndr) ed in cui allo stesso tempo ricordava che mancavano 6 mesi alla conclusione del rapporto tra 29100 Factory e i locali comunali sullo Stradone Farnese. Questo non poteva non aprirci la strada per incontro con Nicola su tanti temi, dagli anni di gestione dei Giardini da parte dell’associazione, al valore di quel luogo e gli spunti che ha dato per nuove realtà, toccando il “tema” Tendenze, fino ad arrivare ad uno sguardo su quello che potrebbero essere i Giardini Sonori dal 2018 in avanti.

Nicola, fra sei mesi, poco meno, la collaborazione tra Giardini Sonori (La Cavallerizza) e 29100 Factory si concluderà. Poi cosa succederà?

Associazione 29100, per come Piacenza l’ha conosciuta, finirà. Si concluderà il giorno in cui abbandoneremo questa struttura. Per noi è un po’ l’ultimo impegno, perché in ordine sono finiti prima i nostri eventi e le attività collaterali, poi abbiamo il lungo periodo di organizzazione di Tendenze, e adesso con i Giardini Sonori si chiude una parentesi iniziata nel 2006 con la gestione dei “giardini”, arrivata 3 anni dopo la nascita dell’associazione. Quindici anni sono un discreto periodo anche perché siamo cambiati noi, è cambiata la musica a Piacenza e forse adesso ci vuole qualcosa di diverso. Il fatto che non ci siamo più dentro noi personalmente non vuol dire che qualcosa non rimanga, come Tendenze e Amano e che adesso sono indipendenti.

Qual era lo spirito iniziale di quell’avventura? e nel tempo come si è trasformato?

Lo spirito non è cambiato perché da subito abbiamo cercato di dare un’impronta il più possibile professionale e questo lo portiamo fino alla fine. Sicuramente all’inizio non pensavamo che diventasse una realtà così istituzionalizzata perché di certo non avevamo in testa tutto quello che è nato anche nel rapporto con le strutture pubbliche. Il fatto di non aver cambiato lo spirito è stato un valore aggiunto, e noi chiudiamo anche perché proprio quello che spirito nostro iniziale non ci sembra più attuale. La nostra associazione è sempre stata molto legata alle persone e questo impegno è andato un po’ spegnendosi con l’effettiva partecipazione di questi ragazzi e ragazze. Lo spirito di rinnovamento non c’è mai stato, non abbiamo mai cercato una vera trasformazione. La coerenza penso ci sia stata dall’inizio alla fine.

Sembra evidente che 29100 ha deciso di “lasciare spazio ad altri”, questo è più il frutto del fatto che a voi si sono aperte strade personali e lavorative nuove oppure perché quel ciclo è finito?

Entrambe le cose, una è la conseguenza dell’altra. Se si vuole mantenere un certo spirito, che poi deve essere quella di una no profit, anche nel suo essere professionale, deve sempre abbinarsi al capire “come campare”. Avendo sempre cercato di fare le cose per bene, ad un certo punto non avevamo possibilità di andare oltre e ognuno di noi ha trovato altre strade professionali. Questo evidentemente si lega al fatto che viviamo un momento storico in cui la musica, centrale per noi, viene nomenclata e vissuta in un modo differente da quello che noi intendiamo. Veniamo dalla musica suonata, dal rock, ed ora invece siamo in un momento in cui è tutto più virtuale e social, tutte cose che ci appartengono un po’ meno.

Dato che è un disagio abbastanza diffuso nel cittadino medio, c’è anche un po’ di logorio legato al doversi confrontare con una burocrazia sempre molto presente?

Sicuramente l’esserci istituzionalizzati in qualche modo ha avuto tanti vantaggi, più che altro dal punto di vista della visibilità e dal fatto che ti vengono riconosciute delle cose, dall’altro lato arrivi a dei livelli di responsabilità, tra strutture e finanziamenti, che devi saper gestire sotto gli occhi di tutti. Abbiamo sempre cercato di fare cose utili e condivisibili e questo però comporta molta fatica, perché c’è un peso politico non indifferente da gestire e oltre a questo perché con le istituzioni devi lavorare bene, ossia con i loro criteri, che sono sicuramente più rigidi. Anche questo logora un po’, ma non è la causa principale.

29100 è stato anche Tendenze. A 2 anni e mezzo da quella intervista, quella dell’addio al festival, come hai visto queste 3 edizioni da spettatore (o quasi)?

Ho visto un Tendenze che ha avuto una gran sfortuna meteo e questo non si può tralasciare perché incide tantissimo sul risultato finale. Quando piove fai fatica a fare le cose che vorresti. Detto questo la gestione mi piace molto nello spirito e negli intenti. La direzione artistica di Pietro (Corvi. Ndr) mi piace e so che è nelle mani di una persona competente che arriva da quel background che conosco bene anche io. Personalmente avrei cambiato di più per tracciare marcatamente la differenza con quello che c’è stato prima, però so bene che è una manifestazione talmente difficile da organizzare che un gruppo deve avere il tempo di prendere cognizione del mezzo che ha in mano per capire le varianti sul tema. Magari dal punto di vista logistico magari un cambio di formula poteva esserci, però non è detto che non sia in programma. Io nel 2005 sono partito subito volendo cambiare tutto, con due serate su tre completamente diverse da quello che era lo standard (poi ha piovuto anche lì e di conseguenza vale lo stesso discorso di prima) però a differenza della nostra gestione che ormai era collaudata, ora non è facile arrivare e apportare delle modifiche, calcolando anche che il tempo a disposizione dopo l’uscita del bando, è molto poco. Però io, qua e là, qualcosa cambierei…

Sappiamo di alcuni “cambiamenti” che vengono paventati da una parte dell’amministrazione. Ragionando su un cambio drastico dell’approccio a Tendenze: è possibile un festival autofinanziato riprendendo la tua risposta a quella intervista in cui parlavi di un piccolo biglietto d’ingresso?

Bisogna stare attenti e capire cosa è Tendenze. Il festival nasceva per dare spazio alle band piacentine, perciò pagare un biglietto per vedere queste realtà mi sembra difficilmente ipotizzabile e di conseguenza se Tendenze vuole diventare un festival con un biglietto deve diventare un festival con delle risposte forti da dare al pubblico, ossia fornire un’offerta musicale diversa e lasciare un po’ da parte il suo senso iniziale. Oppure, perché no, un festival che riesce a fare entrambe le cose, con una parte “educativa” che propone la scena locale ma che però sa anche fornire proposte nazionali che giustifichino il biglietto. Non sono assolutamente contro, anzi, il mio undicesimo Tendenze sarebbe stato a pagamento, anche solo per capire chi vuole venire a Tendenze per fare un giro oppure per ascoltare della musica. Per me il festival non può più essere un raduno, ce ne sono già altri 100 in giro, ma lo vedo più come un Festivalbeat che porta anche proposte notevoli.

Domanda di conseguenza: come leggi quello che si sente in queste ore su un cambio di rotta di quella che è stata la casa di Tendenze in questi anni, ovvero Spazio4?

Valuterò una volta visto il nuovo bando e capendo quali sono le reali intenzioni dell’amministrazione. Adesso è difficile aggiungere altro. Sono assolutamente favorevole ad eventuali aggiornamenti. Spero in aggiunte e non cambiamenti, sempre nel rispetto di quello che è il ruolo educativo di quel centro. Una funzione educativa che Spazio4 ha avuto in questi anni e che forse non sempre è stato evidenziato e capito, a dispetto di altre cose che hanno avuto maggior evidenza. Dico questo e mi fermo qui, anche considerando il fatto che da 4 anni non ci metto piede e non conosco nel dettaglio le dinamiche attuali.

Un’estate senza Tendenze equivale ad un’estate senza i mondiali…

Non credo che sarà così. Sono assolutamente certo che Tendenze andrà avanti perché deve continuare ad essere una manifestazione più trasversale possibile e non deve assolutamente aver paura di alcun tipo di valutazione politica. Tendenze c’è da più di 20 anni, ha attraversato amministrazioni di vario tipo e tutte hanno capito l’importanza di una manifestazione sana in cui non c’è mai stato un problema di ordine pubblico. Un esempio positivo di manifestazione che va portata avanti con i dovuti cambiamenti.

Tornando ai Giardini Sonori, che cosa è stata per voi la loro gestione e cosa abbia significato per la città?

Secondo me a differenza di altri centri, noi siamo stati vissuti un po’ di meno, ma questo è dovuto al fatto che abbiamo avuto sempre una connotazione ben precisa, più per i musicisti che per la cittadinanza. Secondo me è stato, ed è, un luogo importantissimo per tanti ragazzi che si sono avvicinati alla musica. È un posto che sempre all’interno di una autogestione, ha fatto in modo che tanti ragazzi, anche con pochi mezzi a disposizione, si siano potuti avvicinare alla musica potendo contare oltre che su un luogo fisico attrezzato, anche su persone competenti e disponibili.

Qual è stato il punto più “alto” e qual è stato un rammarico di questa gestione.

Il momento più alto è stato nel 2009 quando, dopo i primi tre anni di gestione, abbiamo ampliato i locali con una parte ancora più professionalizzante, parlo dello studio di registrazione a completamento delle sale prove. Lì si è avuto la sensazione di avere in mano un intero processo culturale della musica piacentina.
Il rammarico è che si, in effetti, questa struttura con un pochettino più di coraggio ed energie in più, poteva essere vista e sfruttata maggiormente dal resto della cittadinanza. Non abbiamo sviluppato una grossa eventistica, potevamo fare più musica dal vivo. Un po’ un peccato perché sarebbe stata la chiusura del cerchio e soprattutto perché forse avevamo sotto il sedere quella che poteva essere almeno in parte una risposta all’esigenza di musica dal vivo nei mesi invernali.

Proprio nel tuo post da cui ho preso spunto, si legge come anni fa non c’era Eataly, il Cai, il parcheggio, i negozi e le case. La Cavallerizza è migliorata come utilizzo, senza dubbio, ma voi pensavate ad un sviluppo diverso?

Per noi era troppo grande nella sua interezza e già ci sembrava immensa anche solo la parte di nostra competenza. Eravamo una piccola associazione e gestire la nostra parte di struttura, le bollette, le incombenze, rappresentava già un grosso lavoro. In astratto noi pensavamo ad un centro in cui potevano girare tante idee e che potevano prendere forma, però era un passo troppo più in là, per noi l’allestimento della nuova area che dicevo sopra, per un costo di oltre 50 mila euro, era già un bel mettere in cantiere e andare oltre sarebbe stato troppo.

Di qui il collegamento è facile: prima, proprio dove oggi c’è Eataly, c’era quel luogo perfetto dove organizzare eventi all’interno, un vuoto difficile da colmare. Tu dove lo vedi questo posto che sembra a tratti un miraggio?

Io sulla cavallerizza ho sempre avuto dei dubbi. Dentro avevamo fatto un Tendenze, diversi mercatini, ma è comunque uno spazio con delle lacune acustiche non indifferenti. Poi aveva delle dimensioni troppo grandi almeno per quello che volevamo farci noi. Un luogo del genere si portava dietro costi notevoli e di cattedrali nel deserto ce ne sono fin troppe. Ci sono altri spazi però c’è sempre al centro la necessità di mettere in rete la reale richiesta e farla coincidere con gli investimenti da fare. Dal punto di vista istituzionale ho visto l’area ex laboratorio Pontieri con posti eccezionali, perciò lì potrebbe essere adatto, ma anche in quel caso ci vorrebbero investimenti molto grandi. Tutte le aree che stanno tornando alla città possono essere indicate, ma ci vuole un accordo pubblico-privato molto chiaro. Ci vorrebbe una cordata di associazioni e forse proprio questa cosa poteva rappresentare l’unico modo per sfruttare la cavallerizza all’epoca.

Una volta non c’era nemmeno il Bleech. In un secondo momento ha trovato una casa come location, ma in un primo momento i locali della Cavallerizza sono stati un po’ gli incubatori di Propaganda. Questo può essere uno dei risultati più tangibili del vostro lavoro?

Sicuramente lo sviluppo e la nascita di Propaganda prima e del Bleech dopo, sono sicuramente “passati” anche per di qua. Ad esempio i ragazzi del collettivo Mustache hanno mosso i primi passi a Spazio4. Il primo Bleech vedeva tanta presenza fisica di 29100, e l’idea probabilmente nacque proprio da una riunione fatta in queste stanze, in cui il sottoscritto spiegava i vari problemi che sorgono nell’organizzazione di Tendenze. Sapere che da persone che hanno fatto delle cose ai Giardini, sono nate esperienze del genere, ci rende molto orgogliosi. Poi però quello era l’inizio, poi dal lato artistico loro hanno sviluppato un percorso proprio e autonomo. Tornando alla domanda, si, queste nuovo realtà sono un po’ il frutto di un lungo lavoro e questo da un lato ci fa venir ancora più voglia di farci da parte. Te ne vai tranquillo e sicuro perché vedi che c’è qualcuno che ti rappresenterà.

È in quel gruppo a cui dobbiamo volgere lo sguardo per vedere la continuità dei Giardini Sonori?

Sinceramente non lo so. Prima di tutto il futuro deve passare attraverso un dialogo con l’amministrazione. Con tutte le specifiche del caso questo è un luogo del comune ed è lui che dovrà riformulare il mandato e dire che tipo di taglio vorrà dare a questo spazio. Io ovviamente ci vedrei dentro un’associazione che sia molto vicina alla musica.

Di qui la domanda centrale: quale futuro vedi per i Giardini Sonori? E che ruolo deve avere nel futuro di Piacenza?

Questo posto sicuramente ha visto cambiare la musica e perciò la sua funzione deve essere rivista. Ci sono molte meno band rispetto ad anni fa e molte meno necessità dell’utilizzo delle sale rispetto al 2006 quando erano piene da mattina a sera. Va tenuta la parte riguardante le produzioni e le sale prove, ma deve essere completata con nuove funzioni. Abbiamo già una sala di buone dimensioni, usata polifunzionalmente, che oggi potrebbe essere il centro dei nuovi Giardini Sonori, magari aprendola alla città con eventi, facendo funzionare quella sala come luogo di intrattenimento.

Che tipo di “In bocca al lupo” vuoi fare a chi si troverà all’interno della gestione futura dei Giardini?

Innanzitutto gli direi di essere libero come siamo stati noi e di lavorare con la spensieratezza e la responsabilità che noi abbiamo messo in questi anni, poi gli direi di divertirsi tantissimo e di riuscire però anche a far fronte alle dinamiche burocratiche e alle sfide economiche che si porta dietro uno spazio autofinanziato come questo. Spero che nel futuro ci siano persone con la stessa passione che ha animato queste sale in questi anni.

Ti abbiamo visto (non senza sorpresa) candidato nelle passate elezioni a Piacenza. Immaginiamo che con un esito diversi del voto, ti avremmo visto al lavoro nell’ambito delle politiche giovanili. Che cosa avevi per la testa per Piacenza?

Ho cercato di fare una campagna di contenuti parlando delle sfide legate alle politiche giovanili, a spazi nuovi, cercando di risolvere le criticità legate alla mancanza di attrattività della nostra città rispetto a quello che c’è fuori. Questo magari attraverso l’utilizzo dell’argine del Po, la possibilità di avere una struttura recettiva giovane come un ostello, magari creando una proposta alternativa a supporto di un processo di sviluppo del turismo. La mia idea era quella di non stravolgere il lavoro delle passate amministrazioni, ma portando innovazioni perché alcuni luoghi hanno bisogno di essere rinnovati.

A Zandonella, assessore alle politiche giovanili che abbiamo intervistato pochi giorni fa, cosa vorresti suggerire con gli occhi di chi per 10 anni, ha rappresentato una grande fetta di under 30 piacentini?

Io gli suggerirei di fare un giro approfondito di tutte le realtà che sono sul territorio, che immagino stia già facendo, e di valutarne tutti gli aspetti e capirne il senso più profondo. A lui do lo stesso consiglio che mi sarei dato: capire dove c’è bisogno di cambiare, dove di innovare, e dove di seguire la strada già segnata. Anche perché ci sono state anche tante cose fatte bene.

Anche se mancano ancora un po’ di mesi, come ti immagini l’ultima volta che girerai la chiave dei Giardini Sonori?

È una domanda che mi sono già fatto più di una volta ed è una cosa a cui penso spesso. Penso che magari la chiave di questo posto potrei avercela ancora per un po’ di tempo, forse per dare una mano, oppure per aiutare su un pezzo di un nuovo progetto. Questo perché 29100 va scemando ma non la voglia di collaborare. Se la serratura verrà cambiata, l’ultima volta sarò consapevole che era giusto così, senza rammarichi anche perché sostanzialmente l’idea di non riproporci è una scelta che viene da noi, così come per Tendenze e tante altre cose, e pensiamo sia quella giusta.

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