Eugenio Finardi: il mio urlo è rock

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Eugenio Finardi arriva al Caffè Letterario Melville di San Nicolò (PC) sabato 2 maggio all’interno del “Festival del Rock d’Autore” che il piccolo ma vivace Pub ha allestito con la collaborazione artistica di Antonio “Tony-Face” Bacciocchi.
Potremo così chiacchierare con lui, ascoltare le sue canzoni;  quelle che risuonano familiari nella nostra testa – “la musica ribelle”, “La radio”, Le ragazze di Osaka” tanto per citarne qualcuna –  e le sue più recenti, quelle contenute nell’ultimo disco “Fibrillante”.

Finardi è sempre stato (e lo è tutt’ora) un musicista che sa lasciare il segno attraverso la sua coerenza tra pensiero e musica:  “Io non sopporto i moderati, quelli che dosano le parole, che non prendono posizione per non scontentare nessuno e lasciano che il mondo vada a rotoli” ha dichiarato in varie interviste. Così con le sue canzoni ha messo a nudo la propria sensibilità non risparmiandosi di fronte  all’impegno politico o a quello sociale e civile.

Eugenio Finardi è quindi un cantautore che dal lontano 1973 scrive canzoni e “ci mette la faccia”, anche attraverso l’esplorazioni di vari generi musicali, dal rock delle origini, al reggae, al jazz, al blues, persino alla classica contemporanea, sconfinando addirittura nel teatro: con questo suo ultimo disco ritorna al rock per tracciare quasi un fil-rouge con il suo percorso musicale.

Possiamo dire che con “Fibrillante” Finardi è tornato a fare Finardi?
L’impegno civile e sociale nelle mie canzoni,  in questi anni, non è mai mancato. Ma il periodo attuale, quello che stiamo vivendo, richiede una partecipazione veramente attiva. Anche di noi cantanti che non possiamo chiamarci fuori. Non possiamo limitarci a mettere in musica e parole solo la fatuità del quotidiano, come se non vedessimo o non partecipassimo ai mutamenti sociali che sfociano nelle iniquità della società attuale. Penso che non ci si possa ridurre a cantare le piccole cose di tutti i giorni senza affrontare e denunciare questa cultura liberista distruttiva che si sta accaparrando la nostra società e che sta facendo sfracelli.

Alcune canzoni di “Fibrillante” sono emblematiche di questo pensiero, mi riferisco a “Cadere sognare”, “Come Savonarola” oppure a “La storia di Franco”
Il bene comune non esiste più e non c’è più opposizione democratica nei confronti di questo sistema dittatoriale e violento che minaccia il vivere dignitoso delle persone e interi stati. Il disco “Fibrillante” è nato dalle considerazioni e dalle conversazioni con i miei musicisti, discussioni riguardo l’attualità. Sono stati proprio loro, i miei musicisti, Max Casazzi fra questi, ad e incoraggiarmi a mettere queste idee, questi pensieri e riflessioni in musica. Mi hanno detto: “Eugenio, queste cose ti indignano, fai l’incazzato!”. E così con il loro aiuto ha preso forma “Fibrillante”.

Ai tuoi concerti il pubblico ha imparato nuove canzoni o continua a chiederti vecchie hit?
Con mio enorme piacere osservo che una canzone come “Cadere sognare” sta entrando nel cuore delle persone e sta diventando  la canzone simbolo del tour e dei concerti soppiantando altre canzoni storiche del passato.

Vieni a Piacenza all’interno di un programma di concerti veramente intenso…
Ho colto l’occasione di venire a Piacenza, al Melville, combinando altri impegni: quello del 1° maggio a Bologna e il 3 a Loano. Di strada c’era Piacenza, why not! 
I miei concerti hanno fisionomie diverse: o con la band al completo oppure, per situazioni più intime come al Melville nella formula chiamata “Parole e musica” in versione quasi unplugged.

Sei venuto diverse volte a Piacenza che impressione ti ha fatto la nostra città e idea ti sei fatto?
A Piacenza sono venuto diverse volte a suonare. Dà l’impressione di essere la classica “città-ponte” in tutti sensi. Crocevia di regioni, né lombarda ma neppure dal cuore emiliano. Per questi motivi una città che sembra non esprimere le sue potenzialità. Per me rappresenta anche la prima “frontiera” la città più vicina , lasciando Milano verso altre città italiane, ma anche quella più lontana dalle città visitate e che mi preannuncia l’essere vicino a casa al ritorno. E’ un posto snodo. Guardando in positivo è una città che per la sua posizione impone delle scelte, come dovremmo imparare a fare quotidianamente, cioè  la decisione di scegliere da che parte andare, banalmente in direzione  Milano, Bologna, Torino o anche Genova ad esempio.

Sulla scena piacentina è presente un nutrito gruppo di musicisti e anche cantautori che secondo noi di PiacenzaMusicPride hanno buone potenzialità. Che consigli ti senti di dare loro?
Intanto mi piacerebbe incontrarli al Melville. In ogni caso, sembra banale dirlo, ma quello di ricercare l’originalità. Molti mi mandano materiale perché io lo valuti e mi sono trovato decine di cantautori che “sono Capossela” oppure l’altro giorno ascoltando un pezzo mi sono detto “ma Concato ha fatto un nuovo disco?” no era un altro cantante che era uguale identico a lui. Questo non è bene. La musica che ha accompagnato la mia carriera è fatta di gruppi che hanno fatto la storia del rock perché avevano una identità marcata che li facesse distinguere dalla massa. Questo è il primo obiettivo secondo me da inseguire.

Che rapporto hai con i tuoi vecchi compagni viaggio, musicisti o cantanti con i quali hai collaborato? Penso ad Alberto Camerini, ad esempio.
Camerini è stato il mio migliore amico. Con lui e Treves siamo andati nei primi ’70 ad Amsterdam o all’isola di Wight. Mi piace però dire che sono riuscito a formare con tutti i musicisti una piccola tribù nella quale ognuno avesse un ruolo ben evidente. Non solo quindi band spalla ma veri primi attori. Posso dire di essere stato il primo ad inserire nei libretti dei dischi nei credits delle singole canzoni i musicisti che le eseguivano. Sembra poco ma ha un grande valore di riconoscenza

Da ultimo ritornando al nuovo disco, può essere sintetizzato in uno slogan?
Direi di si: “risvegliamo le coscienze”! Per dire che non è necessariamente che il liberismo esasperato di oggi sia la strada giusta. Che non è necessariamente vero quello che cercano di farci credere. 

 

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