Dalle ceneri della Collapsed ecco Ima Records

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Ima Records l’avevamo già sfiorata qualche settimana fa, e dopo un po’ di tira e molla fra impegni vari (colpa nostra, non loro!), abbiamo fatto un giro dove nascono i loro prodotti per incontrare Khristian Tassi e Manuel Bongiorni, le due anime di questa etichetta piacentina.

Per chi non la conosce: cos’è Ima Records?

Siamo un’etichetta discografica nata da un paio d’anni dalle ceneri della Collapsed records. Abbiamo deciso di partire da lì, da una realtà che lavorava praticamente su un solo genere, per coprire uno spettro d’azione più ampio. Questo è successo da quando io e Manuel ci siamo conosciuti.

Torniamo ancora prima allora, alla Collapsed records.

La Collapsed era un’etichetta post rock arrivata a gestire diversi gruppi, come ad esempio i Pertegò, e a collaborare con diverse realtà. Questo, soprattutto grazie proprio ai Pertegò, ha portato ad una certa visibilità internazionale, ad avvicinarci ad aspetti più profondi della musica indipendente e alla scelta finale di ampliare il raggio d’azione rispetto a quello che era stato fino a quel momento.

Di quale periodo parliamo e come era nata quella esperienza?

Parliamo dal 2007 fino a due anni fa. Era nata più che altro perché io e altri due ragazzi pensavamo ad un modo diverso di porsi quando si produce un gruppo. Un discorso di condivisione alle band delle nostre conoscenze cercando di arrivare a fare qualcosa nella musica italiana.

Cosa è cambiato nel passare del tempo da quella esperienza?

Prima era un po’ più facile perché cerano tanti locali, fanzine, possibilità di promuovere la musica, oggi invece trovare una etichetta indipendente fino in fondo e che ti aiuti per davvero non è facile. Poi spesso gli artisti che trovano spazio in queste realtà, una volta diventati un minimo famosi, fanno il passo in più ed entrano in una major, ma a volte completamente impreparati di fronte al successo.

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Lo studio come è nato?

Adagio adagio partendo dal 2007, inizialmente come una esigenza personale per avere un sound molto professionale, in modo da gestire i miei pezzi in tutto e per tutto. Poi, dato che la struttura c’era e uscivano dei bei lavori, ho pensato alla possibilità di dare a dei gruppi che ci piacevano un posto dove lavorare sul proprio estro.

Il passaggio da quella prima esperienza ad Ima Records, come è avvenuto?

La Collapsed ha avuto un attimo di fermo, 3 o 4 anni fa dove io ero abbastanza impegnato con i miei progetti e gli altri ragazzi avevano deciso di prendere altre strade, così quando è arrivato Manuel, per caso tra l’altro, abbiamo provato inizialmente a suonare insieme, poi, dato che lui aveva uno studio ed io anche, abbiamo pensato di unire le forze. Questo alla base del fatto che in Italia ci sono dei talenti che vale la pena seguire e cercare di portare ad un certo livello, e noi proviamo a fare questo.

Allora con Manuel un incontro casuale?

Si perché una nostra amica comune, che poi è Dayana degli EmmeDi, lo conosceva (e infatti suonano insieme. Ndr) e me ne aveva parlato perché poteva essere la persona giusta per entrare in un mio progetto. L’incontro dopo un po’ è arrivato e nonostante tutti e due siamo nella stessa scena musicale, non ci era mai capitato di incrociarci prima. Anzi, io quando ho sentito il suo nome, pensavo al suo omonimo di “Musica per bambini”!

Il prima passo quale è stato?

È stato guardarci in faccio e chiederci “cosa ci piace fare?’”. Io ho sempre fatto colonne sonore per film e documentari, lui era molto interessato ad entrare in questo circuito e allora abbiamo cominciato a fare le prime cose insieme. Da lì è scoppiato tutto, e due anni sono passati in un attimo.

Come è stata l’evoluzione del progetto?

Il primo step è stato con i Pertegò che da più di 10 anni suonano in giro per il mondo e si fidano della situazione e di come da si lavora. Poi non poteva non balzare agli occhi come gli EmmeDi non avessero una etichetta e lì la cosa è stata velocissima. Oltre a loro poi, anche qui in naturalezza, sono entrate anche le altre produzioni di Manuel, vedi So Close, e le cose che invece facevo io su altri binari. Da queste cose stanno nascendo vari dischi, oltre a quello dei So Close, anche quello di Dayana da solista. Poi c’è anche progetto mezzo segreto…

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…diteci almeno la metà del segreto che si può svelare….

Un progetto estero di un gruppo che con l’Italia non c’entra niente, un gruppo su cui stiamo puntando molto e che sia Derezed e di cui non possiamo dire nemmeno la provenienza. Un lavoro molto lungo, che esula dal nostro genere e che arriva fino all’elettro dance. Loro erano alla ricerca di una etichetta “amica” per provare ad arrivare ad alti livelli ma senza usare i canali tradizionali per rimanere integri e senza nessuno che sconvolgesse i loro pezzi. L’accordo lo abbiamo trovato subito ma ad una condizione: il loro totale anonimato.

Una cosa importante è legata al no profit…

Si, noi intendiamo questo lavoro come no profit per i gruppi che promuoviamo. Siamo tutti sulla stessa barca e consideriamo il nostro mondo come una unione di teste diverse che se funzionano fanno qualcosa di buono. Molte etichette chiedono tanti soldi per una produzione e noi cerchiamo invece di incanalare quelle risorse in altri binari: quelli che loro non spendono in registrazione li possono spendere in altre cose.

Com’è la divisione del lavoro e dove lavorate principalmente?

Manuel lavora sul mixaggio e sulla parte tecnica dello studio, io come produttore e anche come scrittore dei pezzi perciò sia da un lato artistico sia esecutivo nella gestione della band in pre e post produzione. Per il “dove”: non in ltalia. Qui abbiamo un metodo standard, devi lavorare in un modo ben preciso e a me non piace perché non c’è modo di promuovere le cose che fai perché non ci sono i locali e l’italiano si stufa presto. Allora spostiamo tutta la produzione sull’estero. Questo perché c’è molta più gente che ascolta per davvero: se ha un fan che ti ascolta tanto perché è lì, non vale niente, se ne hai uno che invece è venuto apposta, ne vale mille.

Oltre al discorso produttivo, come hai visto cambiare Piacenza in questi anni?

Ultimamente l’unico locale che vedevo un po’ sulla falsa riga di quelli di una volta era il The Wall, ma a parte i posti, è proprio un discorso di cultura musicale. Prima quando usciva un album nuovo, davanti al Club33 c’era la fila perché altrimenti finiva, ora invece anche il cd è una cosa morta anche perché i mercati tradizionali sono stati bruciati. Prima un ragazzino sognava di diventare una rockstar ora invece un personaggio televisivo, non un musicista.

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Questo è un qualcosa che si ripercuote anche nella vita di tutti i giorni…

Si perchè in rete ci sono delle persone che vogliono essere prodotte ma senza la voglia di sperimentare davvero qualcosa ma solo assomigliando a quello che vedono. Poi arrivano anche delle cose assurde come la mamma di un ragazzo che chiama chiedendo perché non produciamo suo figlio. Poi c’è anche un discorso di come si lavorava: prima c’era un produttore artistico che affiancava ogni band, poi dagli anni ‘90 tanti studi di registrazione si sono messi a fare anche l’etichetta ma senza avere una figura che veramente mettesse la propria esperienza a disposizione di chi suonava, gente con delle competenze vere. Infatti noi abbiamo cominciato ad ampliare il nostro campo ma arrivando fino ad un certo punto, non oltre, perché ci sono cose e generi che non sapremmo produrre al massimo delle possibilità. Tante band non leggono nemmeno che genere produci e chi hai nel rooster, cercano una etichetta e basta. Noi, lavorando seguendo il progetto che abbiamo, le piccole soddisfazioni ce le siamo tolte anche arrivando a produzioni di Hollywood, come con gli EmmeDi che hanno vinto il premio come migliore proposta del mese di marzo per The Akademia Music Awards nella categoria dance electronica. Un segnale che almeno un po’ abbiamo lavorato bene.

Da dove si può ripartire?

Da un’opportunità di lavoro. Anche se sappiamo bene che non è facile e che questo è un mondo dove ci sono momenti molto carichi e altri molto meno, la possibilità di vedere la musica come un lavoro è l’unica per ridare spinta a questo mondo. Io rimango fiducioso che qualcosa prima o poi deve succedere.

Per voi che lavorate sull’estero ma siete qua a Piacenza, e mi riferisco in particolare a Khristian dati i trascorsi passati, una mezza idea su Giardini Sonori?

Io ti parlo da ex segretario di 29100 e conosco benissimo Nicola Curtarelli e per un periodo abbiamo fatto tante cose insieme. Sinceramente mi sento un po’ un vecchio per una cosa del genere e spero che vada a qualcuno che sappia fare la differenza. Poi io voglio avere sempre la stessa filosofia di portare i ragazzi ad avere delle soddisfazioni e non mi interessa speculare su altre cose. Magari poteva essere un’idea per ascoltare qualcosa di nuovo di Piacenza dato che nei locali si fa molta fatica.

Eh invece su Tendenze, di cui si aspettano novità, cosa dici?

Bene o male ci sono sempre stato, e ci sono anche stato dentro all’epoca della Taverna delle fate o ancora quando al Fillmore avevamo portato le band di Piacenza a salire su un palco con un approccio veramente professionale. Una vera gara fra ragazzi piacentini per arrivare a suonare Tendenze. Per me quello dava veramente alle band della città una bella scossa. Anche se per una città è quasi normale avere un festival del genere, all’estero anche nei paesi più piccoli questi festival ci sono e vengono visti come un momento di aggregazione che da noi poteva essere Travobaccano fino a qualche anno fa, i tempi sono cambiati e a Piacenza non ci sarebbe proprio più la gente che viene a sentire. Qualche anno fa si era cercato di fare una cosa grossa al Daturi ma fu un flop perché al piacentino piacciono queste cose solo se gliele porti in casa.

Intervista lunghissima, come la chiudiamo?

Semplicemente dicendo che siamo due ragazzi con tanta passione a cui piace fare musica, ascoltare musica, che credono in alcuni gruppi di piacenza e anche nel fatto che la nostra città possa dare ancora molto per il semplice fatto che in passato l’ha già fatto.

 

Summertime In Jazz