An Harbor: Federico Pagani prima, dopo e durante

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E’ inutile girarci intorno, il personaggio musicale piacentino del 2014 è stato An Harbor, alias Federico Pagani, meglio ancora conosciuto come il Fede. Lo abbiamo incontrato appena prima della chiusura del tour che lo ha portato in giro per l’Italia in oltre 30 date. Lo abbiamo incontrato per passare un po’ oltre il discorso X Factor (che tanto sappiamo già tutto) e parlare di cosa è successo, cosa è cambiato e cosa cambierà. Lo abbiamo incontrato un po’ per tirare le somme e un po’ perché se lo meritava. Lo abbiamo incontrato un po’ a caso e un po’ no, negli studi dei Giardini Sonori.

Intanto partiamo da qua, dai Giardini Sonori
Eh già, bene o male si ritorna e si riparte sempre da qua. E’ un posto che non viene quasi mai citato ma che invece è il fulcro di tante cose. Il disco e il singolo li sto registrando qua, così come il disco con gli Ants. La gente non lo sa, ma qua è da dove è partito tutto. Qua è dove ho iniziato a suonare le mie canzoncine in una di queste salette. Da qua è nata tutta questa storia, quando un pomeriggio appena prima di Tendenze 2013 Nicola (Curtarelli. Ndr) mi chiede di “occupargli” un piccolo spazio musicale alle 7 di sera con un po’ delle mie cose che avevo da parte.

Da Tendenze 2013 fino a Bologna, Roma, Salerno…
Sono stati 3 mesi di tour molto tirati, un’esperienza molto strana e bella per due motivi su tutti: intanto a differenza di prima, adesso sono gli altri a chiamarmi per suonare e non il contrario; poi la soddisfazione mista a stupore nel vedere che la gente sotto il palco non cantava solo By the smokestack, ma sapeva anche le canzoni di cui ci sono solo registrazioni su Youtube.

Insomma, hai fatto il giro d’Italia per finire da Banana! (per i pochi che non lo sapessero, stiamo parlando della Vecchia Osteria di Ancarano. Ndr)
Proprio così. Ho fatto tutto questo giro fondamentalmente per tornare a casa, dove c’è il cuore, dove ci sono gli amici. Chiudo il tour sabato sera (7 febbraio) in un posto dove abbiamo passato 2000 serate davanti ad un rosso (anche più di uno) e perciò ho pensato che fosse il modo migliore di chiudere questo periodo. Se la testa è negli studi dei Giardini Sonori, Il cuore è ad Ancarano.

Chiusa questa stagione di live, adesso cosa ti aspetta?
Adesso c’è un singolo da far uscire. Se tutto va bene entro la fine di febbraio/inizio marzo. E’ ora di farlo uscire non fosse altro che per dare soddisfazione a tutti quelli che continuano a chiedere: “Ma sto’ singolo?!”. Poi, se tutto va bene, sarà la volta del disco/EP, questo entro l’estate. Ovviamente le tempistiche saranno anche in base a come procedono i lavori della preparazione del disco con gli Ants. Un lavoro dove ho messo tutto me stesso e che a livello d’importanza è sullo stesso piano del mio progetto solista.

Eh già, ci sono anche gli Ants…
Per me i due progetti sono importanti allo stesso modo. La differenza è che nel mio sono l’unico a metterci la faccia. Tutto qua. Nelle settimane di registrazione con i ragazzi, più è progredito il lavoro e più mi sono reso conto che le cose funzionano, che le scelte singole sono condivise da tutti. E’ uno scambio continuo. Sono discorsi diversi ma simili, che possono coesistere, che bene o male si intrecciano e che porterò avanti insieme.

 Tornando a te, nell’intervista pre-audizione ad X Factor, hai parlato del tuo lavoro come di 30 anni di cose che hai accumulando, che stai facendo, cose che..
… cose sarebbero rimaste nel cassetto, o al massimo avrei provato in queste sale. Anzi, appena prima di X Factor volevo addirittura buttare dentro e fare altre cose. Mi sembrava che la gente non capisse, che non recepisse quello che volevo dire. Tutte questo, i testi e gli arrangiamenti, proviene da quando ho preso in mano una chitarra. Cioè da quando mi rendevo conto che era bello cantare, ma poi “fare la musica” era un’altra cosa. Tutto questo materiale, però, l’avevo tenuto da parte finché non è arrivata la consapevolezza di quello che potevo fare. Ma è ancora tutto molto strano perché non immaginavo un giorno di metterlo in mostra.

Dal pre-reality, cosa è cambiato?
Tante cose. Prima capitava di suonare come intermezzo fra un gruppo e l’altro e magari mi ascoltavano in 3 o 4, adesso invece la gente viene apposta. Adesso è cambiato che oltre ad essere ascoltati, i miei pezzi vengono anche cantati. E’ cambiato che adesso ci sono ragazze sotto il palco che trascinano i morosi a venire e a rimanere lì ad ascoltare (a differenza situazioni passate, vedi Santa Maria della Versa…. Ma quella è un’altra storia…). E’ cambiato qualcosa anche nel rendersi conto della differenza d’impatto con il pubblico nel momento in cui si passa attraverso un canale mediatico che fondamentalmente ti fa vedere delle cose che hai lì, da parte a te, macché fino a quel momento non riesci ad apprezzare. Basta un’apparizione per far cambiare tutto. Questo volente o nolente, cambia tante cose.

E’ una cosa che può anche intimorire…
Bè, c’è una grande ambivalenza. Senza quello non starei facendo tutto questo, dall’altro lato mi spaventa esserci arrivato tramite quel canale lì. Mi innervosisce anche un po’, perché quella scena è diversa da quella dove avevo suonato fino al giorno prima. C’è anche la paura di chiedermi se riesco a portare avanti quel percorso, continuare a fare le cose che ho sempre fatto sapendo che l’attenzione arriva anche da un pubblico più generalista. Prima conoscevo il mio pubblico, adesso invece non so bene cosa voglia e cosa si aspetta.

Dopo aver girato e aver conosciuto realtà diverse, c’è la voglia di cambiare qualcosa?
Bè, un po’ si. Suonando in posti diversi come attitudine e tipologia, ho ascoltato molti commenti che mi hanno fatto ragionare sul mio set e sui miei arrangiamenti. Non è tanto la voglia di cambiare location, è la voglia di suonare in situazioni non consuete. Provare a sperimentare qualcosa di un po’ diverso. Paradossalmente mi sono reso conto che esibirmi solo con chitarra e voce, ha stancato più me stesso che il pubblico, perché in fondo alla gente piacciono le canzoni, ma nonostante ciò, c’è in atto un cambiamento.

Dobbiamo aspettarci anche cambiamenti radicali?
Penso proprio di si. Cambiamenti verso l’elettronica, verso un mondo americano molto più black e molto più soul. Cambierà il live e anche il singolo sarà diverso da come l’abbiamo conosciuto. Anche per quanto riguarda la lingua. Dopo tante date, con un pubblico eterogeneo, mi sono reso conto che l’inglese in Italia può essere un freno. L’inglese è universale, rende più facile sintetizzare e rendere chiari i concetti (anche in italiano si può fare, ma bisogna essere molto bravi) e il pubblico mi conosce in questa veste, però non nascondo che qualcosa in italiano è in cantiere. Anche per quanto riguarda il nome, An Harbor, quello fondamentalmente è il nome in inglese di un progetto in inglese… chissà che anche lì…

Tralasciando An Harbor, Federico com’è cambiato?
Ho le idee molto più chiare. Sono molto più sereno e so che vale la pena impegnare tutta la giornata su questo progetto. Anche perché dalla gente adesso ho un riscontro che prima non avevo. Per assurdo a 31 anni sto molto meglio di quando ne avevo 21. Adesso sono capace di incanalare nella direzione giusta l’energia e la passione, non mi faccio più prendere la testa da cose inutili, mi faccio molti meno problemi sul tempo che passa e su cosa farò in futuro. Adesso so che, comunque vada, questa è una strada che vale la pena percorrere.

Foto per gentile concessione di Daniele Zucca

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