Per questo venerdì pre-live del fine settimana, troviamo il tempo di parlare di una nuova produzione a metà tra Piacenza e Lecco, è quella dei Da Captains Trip e si chiama Adventure in the upside town. Due chiacchiere per questa nuova uscita, le abbiamo fatte con Riccardo Cavitos Cavicchia, la chitarra del gruppo, che ci raccontato un po’ di cose anche a nome degli altri 3, Peppo, Tommy e Bachis.
Io partirei dalla copertina!
Tutto è nato quando ho conosciuto questo illustratore, Roberto Bonadimani, in una piccola rassegna di fantascienza a Piacenza. C’era tante illustrazioni e le sue mi hanno colpito subito. Gli ho subito proposto di fare qualcosa per noi, ci ha dovuto pensare un po’ ma poi lo abbiamo convinto. Non solo ha fatto questa copertina, ma anche altri 9 disegni che sono all’interno dell’album.
Una illustrazione bellissima in cui c’è un po’ tutto l’album…
In pratica si. Con una immagine ha riassunto tutto questo concept album, la storia di un capitano di un veliero che si trova a fronteggiare questa tempesta gigantesca e fluttuando su questa marea in stato di semi incoscienza e comincia a viaggiare non solo con il corpo ma anche e soprattutto con la mente. In questo viaggio, o meglio in questo trip, immaginario incontra personaggi di varia natura e paesi straordinari, passando da uno a manta ritorna sulla terraferma e riprende vita e lucidità.
Una creazione artistica ed una musicale, fuse insieme!
Alla fine è uscita una cosa del genere. È stato tutto molto stimolante perché la nostra musica psichedelica è già fantasiosa di suo e creare questa storia e riuscire a portarla in musica lo è stato ancora di più, poi l’unione con i disegni di Bonadimani ha completato l’opera. Poi, con lui è bastato veramente solo l’input iniziale, poi lui ha fatto un lavoro incredibile.
L’album in pratica ce lo ha già raccontato, come siete arrivati al prodotto finito?
Per metterlo insieme tutto, un po’ di tempo ci è voluto. I pezzi c’erano, ma per rifinirli siamo partiti da fine estate 2016 fino a dicembre. Di solito siamo più improvvisatori ma adesso, soprattutto per questo ultimo album e col passare del tempo insieme in sala prove, siamo molto più strutturati. Tutto questo lavoro è stato facilitato dalla professionalità che abbiamo, come sempre trovato, all’Elfo Studio.
Questa è una collaborazione che ormai è consolidata, giusto?
Per forza perché dubito ci sia un posto adatto a provare e registrare come quello del Calle (Alberto Callegari. Ndr) a Tavernago. Credo che un posto più bello dove si può suonare tutti nello stesso momento, con un’acustica del genere, non ce ne sono molti. Poi con Alberto c’è una conoscenza lunga una vita e so benissimo come lavora e so che il livello di registrazione è veramente fra i top.
Dopo l’Elfo, gli altri passaggi?
Abbiamo fatto il master a Roma sia per il disco che per i cd. Con l’esperienza abbiamo capito che conta molto. Comprimere le tracce in modo che tutto suoni omogeneo nei vari supporti, è fondamentale. Lì abbiamo lavorato con Gianmarco Iantaffi, maniaco del suono alla vecchia maniera, che non comprime niente, senti esattamente quello che abbiamo suonato noi.
Tu di Piacenza e gli altri di Lecco, quanto è difficile suonare e produrre nella vostra situazione “geografica”?
È complicato però se hai voglia, il tempo lo si trova, di solito è il sabato quando due di loro non lavorano. Si va là alle 11 e si torna alle 5, una o due volte al mese. Prima suonavamo in modo più improvvisato ma adesso, da quando usiamo di più il sintetizzatore, è molto più complesso e componiamo tutto insieme. È pesante ma si fa.
Uscita ufficiale?
Il 30 aprile, ma all’Alphaville, già il 23, lo presentiamo interamente. E poi lo porteremo in giro fra Treviso, Udine, un passaggio a Bang Bang Radio, poi Tortona con i Sendelica e in Sardegna in un festival. Ma poi anche extra Italia come a Salisburgo e Monaco.
Eh già, perché tantissime date le avete oltre i nostri confini!
Questo perché già da prima avevamo tanti contatti in altre parti d’Europa e poi perché, dopo le prime date insieme in Svizzera e Germania dal 2010, abbiamo visto che la gente ci chiamava, gli piacevamo e ci richiamavano. Il riscontro lì, lo vedi subito perché vendi anche tanti album. Poi in quegli ambienti il nome gira, come ad esempio l’altro giorno quando ho chiamato un promoter di Berlino che subito mi ha detto che già ci conosceva e subito ci ha proposto una data.
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Lì è tutto così diverso?
È tutto molto bello ma tutto particolare. Magari ti trovi a fare un live con 30 persone davanti in silenzio per tutto il set, ti prendi magari un po’ male, e poi invece vendi 30 dischi. A volte in Italia vedo che in un locale quando suona un gruppo, la gente esce a fumare, lì è esattamente il contrario anche se quella, la loro, dovrebbe essere la normalità. Poi l’età di norma è altissima, questo in Germania ma anche in Inghilterra, ricordo un paio di anni fa, nel Devon, eravamo su una collina a suonare in mezzo ai figli dei fiori rimasti lì dagli anni ’60. Anche in quel caso è bastato pochissimo, un nostro amico ha mandato delle nostre cose all’organizzazione e ci hanno chiamato subito.
E in Italia, per il vostro genere, la situazione è molto più complicata?
Anche in Italia ci sono situazioni belle, magari più in piccolo. Con le nostre cose underground al massimo fai 150 persone. Si pensa che si suonino cose psichedeliche solo al nord est, ma invece si trovano situazioni così anche a Roma e a Tortona c’è un bel locale.
Proprio sull’età media che c’è nei concerti fuori dall’Italia: come vedi la tua musica fra i giovani?
Penso che non si può fare un ragionamento solo su un genere, la differenza rispetto al passato c’è in generale. Ai miei tempi suonavano tutti. Tutti almeno una volta avevano preso in mano una chitarra, adesso invece lo vedo secondario rispetto a tante altre cose.