A tu per tu con: Cristiano Sanzeri

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Oltre a gruppi, album, eventi e locali, una cosa che cerchiamo di fare, è quella di mettere in luce alcune figure professionali del mondo della musica di Piacenza. Oggi apriamo una parentesi su quello che succede attorno ad un live, nella costruzione e nella messa in scena di una serie di eventi. Per questo, dopo una continua rincorsa, siamo riusciti ad incontrare Cristiano Sanzeri.

Una chiacchierata che è diventata una (lunga) intervista su alcuni aspetti del mondo della musica che restano spesso meno conosciuti, e sulla figura che Cristiano è diventato nel corso degli ultimi anni.

Cristiano, passi dal ruolo di tour manager a direttore di produzione. Qual è il tuo lavoro principale?

Ho maturato in questi anni diverse competenze e ho capito che il lavoro di tour manager/direttore di produzione e quello di tecnico del suono sono conciliabili, e poter alternare la vita del tour a quella dello studio di registrazione, è per me un vero e proprio privilegio.

Anche produttore e organizzatore!

Si, anche se in proporzioni minori. Come produttore e tecnico del suono lavoro spesso principalmente su progetti indipendenti. Come organizzatore, semplicemente, cerco di portare le mie competenze a Piacenza e provare a portare nella mia città qualcosa di diverso.

Nel momento in cui devi gestire un live, non basta seguire il suono…

Sono partito dall’essere una figura tecnica specializzata sul suono, ma ho presto capito che tutto quello che ci gira attorno ha bisogno di competenze specifiche. Il lavoro di tour manager ha uno specchio molto ampio di competenze, e per coordinare una produzione occorre necessariamente conoscere nel dettaglio quali sono i ruoli e le competenze di tutte le figure che lavorano con me. Nella fase di pre-produzione devo tenere conto di tutte le problematiche che possono presentarsi e cercare di risolverle con anticipo.

Come ci si prepara per arrivare a ricoprire questo lavoro?

Innanzitutto ci vuole una grandissima motivazione, che vedo sempre meno spesso fra i ragazzi più giovani. Io sono partito dalla passione e tuttora è questa passione per il suono, e la tecnica che ci sta dietro, che mi smuove. Poi, per la gestione completa di un evento, subentra la mia propensione a tenere tutto sotto controllo. Per quanto riguarda la gestione del live si impara principalmente sul campo, bisogna essere motivati e cercare di essere coinvolti in più situazioni possibili, magari trovare una persona di riferimento. Percorsi di studio veri e propri per il live non esistono. Bisogna continuare a mettersi alla prova, io tuttora ritengo di avere molto da imparare.

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E come parte “tecnico del suono”?

Anche quello richiede motivazione e gavetta, ma non si può prescindere da una preparazione tecnica. Ho frequentato alcuni corsi, su tutti la “Scuola di alto perfezionamento” o Scuola APM di Saluzzo, una scuola molto selettiva che conta pochi iscritti l’anno. Io però io già all’epoca scaricavo i furgoni e imparavo ad utilizzare i primi software.

Il momento di maggiore tensione durante la costruzione di una serata?

Diciamo che, se lavoro bene, i problemi li risolvo nei giorni antecedenti allo show, durante la fase di preproduzione del concerto. In data poi tutto può succedere, ma Il grosso delle problematiche si affrontano comunque prima che l’artista salga sul palco.

Come ci si arriva ad essere il direttore di una produzione importante come il tour di Fabi?

Si parte dalle cose piccole, facendone tante. Vieni a conoscere sempre più persone e se lavori bene vieni coinvolto in cose sempre diverse e di maggiori proporzioni, ci vuole ambizione e voglia di assumersi delle responsabilità. Quando mi è stato proposto il tour di Niccolò Fabi, con onori ed oneri del caso, ho capito che l’agenzia (Barley Arts in questo caso) stava investendo su di me e io non potevo che accettare.

Numero di date coperte?

Considerato l’estivo 2015, le presentazioni instore del nuovo disco e il tour a supporto del disco “Una somma di piccole cose” sono quasi a 70 date. Un bellissimo percorso, prima di tutto di responsabilità, con persone che fanno riferimento a me per ogni cosa, che spesso sono professionisti con esperienza ventennale. Poi c’è anche tutto il lavoro che arriva prima, come l’approccio a tutte le venue in cui andremo a lavorare, seguire tutti i dettagli. È davvero appagante.

Quanto riesci a goderti un live?

Nelle prime date del tour ero ovviamente più in apprensione e ammetto che godermi il concerto era una delle ultime cose a cui pensavo! Ora è tutto più delineato e posso finalmente guardare il concerto ascoltando anche le canzoni. Quando Niccolò sale sul palco sono più che tranquillo perché lascio lui e la band in mano a tutti i professionisti che ho sul palco. Ultimamente a dire il vero durante lo show sono molto spesso in ufficio produzione a lavorare sulle date successive del tour.

Un altro personaggio con cui hai collaborato, un po’ meno conosciuto dal grande pubblico, è Immanuel Casto. Com’è lavorare con lui?

Sono completamente diversi. Con Manuel lavorare è molto divertente e piacevole ma le situazioni sono diverse. Soprattutto come contesto e come ambiente. Cambiano le cifre, i numeri, le persone. Sono situazioni un po’ più piccole ma cerchiamo di fare sempre tutto in maniera molto professionale. Con lui e tutto lo staff è nata una amicizia molto proficua e ho anche curato i mix degli ultimi due dischi.  

Altri lavori in giro, in singoli eventi, quali sono stati?

Sono tanti quelli che ho seguito negli ultimi anni, soprattutto in veste di parte tecnica. A partire da Springsteen ed AC/DC fino a band più piccole come Black Mountain o Wolfmother, passando per artisti come Emiliana Torrini o Riccardo Sinigallia. Il mio ruolo cambia in funzione della tipologia di produzione, nelle situazioni più grandi, palazzetti o stadi, il mio ruolo è principalmente quello di assistente di produzione, nei live club o nei teatri lavoro come direttore di produzione. Ovviamente da una cosa all’altra cambia anche il rapporto con l’artista, con Niccolò ad esempio si è creato un bellissimo rapporto anche fuori dal palco.

Girando molto si fanno anche incontri ravvicinati particolari…

So che ti riferisci a quello con Rocco Siffredi… Poteva capitare a tutti però. Tornavo da un concerto dei Soilwork, mi sono fermato in un autogrill e l’ho visto. L’ho guardato come dire “ma sei veramente tu?!” e lui mi ha guardato e mi ha fatto capire che aveva capito.

Come mai, per un tecnico del tuo livello, scegli di rimanere a Piacenza quando ad esempio a Milano, il livello di possibilità e collaborazioni sarebbe sicuramente di un livello più alto?

Per me non vivere a Milano non è mai stato limitante, sia perché è vicina sia perché in questo campo conta molto l’affiatamento. Le persone che con cui ho lavorato, hanno preferito contare su di me anche con costi un filo più alti degli altri per i miei spostamenti. Siccome ci sono affezionato rimango qua, se lo vedessi come un limite cambierei. Oltre a questo mi piace anche portare a Piacenza le cose che vedo in giro e la mia professionalità. In Propaganda 1984 (il gruppo di ragazzi che dà vita a Bleech Festival. Ndr), come prima con 29100, mi danno del maniaco perché curo alcuni aspetti che spesso, negli eventi minori, vengono tralasciati.

Questo è quando vai in giro, ma poi c’è il lavoro in studio di registrazione ai giardini sonori…

Questa è la mia passione. Lavoro con la mia strumentazione e con le band che mi cercano. E questo mi dà soddisfazione. Qui è uno studio piccolo ma l’ambizione è arrivare ad occuparmi di produzione sempre più grandi. Il passaggio da un palco importante allo studio, continua a piacermi molto anche quando si tratta di seguire dei giovani musicisti che vengono a registrare per la prima volta.

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Ti è capitato, essendo abituato a palcoscenici diversi, di avere sotto mano a Piacenza un prodotto che può andare oltre i nostri confini o qualcuno che sarebbe pronto a grandi palchi?

Ci sono prodotti di grande valore, ad esempio An Harbor. Quello che serve maggiormente però è la cura di quello che avviene nel “pre” e nel “post” produzione. Devo ammettere che non conosco tutti gli artisti di Piacenza, ad esempio un personaggio piacentino che mi sembra abbia lavorato molto bene sotto questo aspetto è Linda Sutti, ha fatto un percorso musicale particolare, ma nel suo genere probabilmente ha fatto i passi giusti. Ogni tanto non farebbe male alle band piacentine provare ad essere più “curiosi” e mettere fuori il naso dalla provincia.

Qualcosa sul panorama piacentino?

Secondo me c’è un buon livello soprattutto paragonato alla città in cui viviamo. Ci sono città più grandi con meno proposta rispetto a noi. Bisognerebbe andare di più in giro e scoprire altre situazioni, e capire come lavorano negli altri posti.

Piacenza rimane un posto che, nonostante l’attività di alcuni locali e soprattutto alcuni gruppi di ragazzi che negli ultimi anni danno vita ad eventi di livello, non ci sono i grossi eventi. Secondo te cosa manca?

Non si può non tenere conto che Piacenza per la sua posizione è un po’ svantaggiata. È molto vicina a Milano, Parma e Bologna, di conseguenza in un’ottica di costi l’agenzia che organizza il concerto, o il promoter che lo compra, non trovano margine di guadagno in una piazza così vicina a quelle maggiori.

Però in questo modo è da anni che si giustifica questa cosa. In piccolo, con Propaganda al Bleech e con il neonato Bloom festival (ci ritorneremo. Ndr), ci si prova e ci si continuerà a provare con nomi per noi significativi. Si può fare qualcosa ma bisogna ricordarsi che per fare artisti di richiamo ci vogliono investimenti importanti e qualche aiuto esterno (sponsor, istituzioni etc.) alle volte aiuterebbe. Quando vedi che arriva qualcuno da fuori città che organizza situazioni al posto nostro capisci che qualcosa si può fare.

Summertime In Jazz