Intervista a Paola Turci. Domani sera a Rivergaro con “Io sono”

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Bisognerebbe essere sempre seri, professionali e lasciare da parte le emozioni quando si scrive un articolo, però a volte non è così facile. Non è facile quando al telefono, durante l musichetta dell’attesa, ti senti rispondere: “Ciao, sono Paola!”. Ebbene si, al microfono (al telefono, vabbè) di Piacenza Music Pride è arrivata Paola Turci!

La cantante romana, una delle voci più belle e importanti della musica italiana, autrice di canzoni bellissime come “Bambini” e “Attraversami il cuore”, passa di qua, per essere precisi, nell’ambito del festival “Musica in Castello” passa a Rivergaro, domani sera alle 21.30 presso le Cantine Bonelli (ingresso libero!) L’abbiamo intervistata per voi (ma anche un po’ per noi) per parlare del suo ultimo album “Io sono” che presenterà domani sera in versione acustica.

 

Partiamo dall’album, 3 pezzi inediti e 12 tracce riprese e riarrangiate in chiave acustica. Come si scelgono 12 brani fra oltre 15 album e 30 anni di carriera?

Bisogna avere quasi un talento, non è facile scegliere tra oltre 300 brani! Ho dovuto adottare dei criteri, il primo è stato il mio gusto personale e l’importanza che hanno avuto nella mia vita e nel mio percorso musicale i pezzi da inserire, poi ho considerato il riscontro che hanno avuto con il pubblico e di conseguenza quelli che hanno avuto più successo, e poi quelle canzoni capaci di rappresentare un intero album. La selezione all’inizio era molto, molto più ampia, ma mi ero trovata davanti ad un disco troppo lungo e mi sono resa conta che questo formato andava bene per farci stare dentro tutto.

 

Una raccolta che copre la tua carriera per intero, fra hit conosciutissime e canzoni più nascoste. Come ti rivedi nelle tue canzoni ad anni di distanza? Riprendendole ti sei vista cambiare come artista?

Quello che ho visto è un cambiamento sonoro che però c’era già nella mia idea di disco antologico. Ho portato con me le canzoni che potevano essere soggette a questo tipo di cambiamento. Andandole a riascoltare e poi a scegliere, ho trovato delle canzoni fortemente nuove nel mio passato, come “Quel fondo di luce buona” oppure “Lettera d’amore d’inverno”. Sono canzoni che portano con sé una intensità ed un lavoro di ricerca che non le rendono canzoni semplicistiche, ma che hanno dentro tanto impegno e rispetto per la musica.

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Nei nuovi brani ascoltiamo una Paola Turci molto intima in “Quante vite viviamo” e in “Questa non è una canzone”, invece “Io sono” esterna tanta libertà e voglia di aprirsi, cosa ti rappresenta in questo momento?

Ma in effetti sono entrambe le cose a rappresentarmi per bene. La canzone che hanno scritto Bianconi (il cantante dei Baustelle) e Kaballà, è la canzone che avrei voluto scrivere e che avrei voluto cantare, e ce l’ho fatta. E’ una canzone che riassume per immagini un momento della vita. Gli altri due invece sono brani fortemente autobiografici che portano la mia impronta, quella più introspettiva e romantica.

 

Come per tanti lavori della tua carriera, anche in “Io sono” hai collaborato con altri artisti per quanto riguarda il singolo e la produzione, questa è più una scelta o una necessità artistica?

Io la definirei più che altro una mia inclinazione. Sono sempre scelte dettate dalla mia voglia di confrontarmi e di condividere quello che sento. Oltre a questo, la scelta di lavorare con altri artisti dà anche la possibilità di avere una o più visioni della vita, delle cose, della musica, della sonorità,  e penso che ciò possa dare buoni frutti sotto diversi aspetti, umani e artistici.

 

Ho letto che la tua voce, più “stupita” di prima, è la misura della maturità, ma dopo 30 anni di carriera, la maturità artistica, è qualcosa che arriva o è qualcosa da continuare ad inseguire?

E’ un continuo inseguimento, almeno per quanto riguarda la mia esperienza personale. Io, nel mio caso, mi rendo conto di continuare una trasformazione costante della mia voce e di conseguenza di come canto. Sento nella voce la differenza rispetto al passato ma anche rispetto al passato recente, già a distanza di quello che ho cantato 2-3 anni fa, sento una differenza sostanziale.

 

Citando una tua canzone “le storie degli altri ci insegnano la nostra” e sapendo dei tuoi viaggi (spesso per cause nobili) in giro per il mondo, quanto delle storie che conosci e delle vite degli altri, entra nei tuoi lavori?

Molto, veramente molto. Ciò che mi coinvolge entra dentro me e in quello che scrivo e cerco sempre storie che mi coinvolgano. Probabilmente c’è proprio una ricerca di queste storie. Sicuramente molto di quello che vedo in altre persone entra in quello che faccio e la canzone che hai citato né è un esempio lampante.

 

Parlando di vite private, della tua, a parte i fatti di cronaca e quello che hai scritto nelle tue canzoni e nella tua biografia, non si sa molto. Come ti rapporti con una realtà in cui la televisione e i social vogliono che si “pubblichi” e “condivida” tutto?

Beh, sono dell’idea che al giorno d’oggi siamo noi artisti, ma non solo, che vogliamo far sapere tutto. Oggi le notizie, i giornalisti, le prendono dai social, dai nostri stati, dalle nostre foto private. Io ultimamente mi sono trovata dei paparazzi sotto casa (con mia grande sorpresa tra l’altro!), però si è instaurato un rapporto di rispetto, anche perché non si è trattato fortunatamente di un’invasione. Sono dell’idea che oggi non siano i giornalisti a voler sapere tutto, siamo noi che vogliamo farglielo sapere.

 

In chiusura torniamo a “Io sono”, dopo 30 anni di carriera, lo senti di più come un album per vedere come sei stata oppure come un punto di (ri)partenza?

E’ un punto di mezzo, è un passato che guarda al futuro. E’ sicuramente e fortemente uno sguardo in avanti.

Summertime In Jazz