Di Chiara Ferrari: Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati

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[[{“type”:”media”,”view_mode”:”media_large”,”fid”:”1806″,”attributes”:{“alt”:””,”class”:”media-image”,”height”:”144″,”style”:”float: left; margin: 5px;”,”typeof”:”foaf:Image”,”width”:”124″}}]]In questo lungo articolo, che vi invitiamo a leggere fino in fondo, vogliamo presentare un libro (Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, scritto da Chiara Ferrari ed. Unicopli) che parla di musica. L’autrice, la piacentina Chiara Ferrari (nella foto), ci accompagna in un articolato e approfondito percorso nel quale le canzoni, e i relativi autori, fanno da trait-d’union tra noi e le condizioni di vita, sociali, di lavoro, di sfruttamento delle persone e dei lavoratori in oltre 50 anni di vita del nostro paese: L’Italia. Il libro, ci piace ricordare, è stato inserito fra quelli a scelta per sostenere l’esame di Storia Contemporanea in un corso di laurea triennale dell’Università di Bologna. 

[[{“type”:”media”,”view_mode”:”media_large”,”fid”:”1803″,”attributes”:{“alt”:””,”class”:”media-image”,”height”:”136″,”style”:”float: left; margin: 5px;”,”typeof”:”foaf:Image”,”width”:”182″}}]]Chiara Ferrari, che insegna italiano e storia e che ha frequentato  il Master in Comunicazione storia dell’Università di Bologna, non è nuova a progetti di questo tipo. E’ co-autrice infatti del documentario storico (se cliccate QUI o sulla foto potete vedere il trailer)  “Cantacronache 1958-1962: politica e protesta in musica” presentato anche a Piacenza nell’ambito del festival “Musica al lavoro” presso la sala Mandela della Cgil nel 2012.  Chiara inoltre collabora con E-Review, rivista degli istituti storici dell’Emilia Romagna e partecipa ai progetti della casa editrice piacentina Ed. Gutenberg.

Prima delle domande vorremmo ringraziare, da subito, Chiara per tutti i dettagli della narrazione,  e per averci proposto un nuovo modo e un nuovo strumento per leggere la storia contemporanea italiana.

Come è nato il progetto? Perché hai scritto il libro?

Il libro nasce come ideale prosecuzione di un precedente lavoro nato nel contesto del Master in Comunicazione storica dell’Università di Bologna che ho frequentato nel 2009-2011. Come prova finale proposi al gruppo di lavoro di realizzare un documentario che avesse la canzone come fonte per raccontare la storia. Incontrai Cantacronache e le loro canzoni innovative, che parlavano di realtà, di problemi sociali, della politica di quel travagliato periodo storico ed erano in netta antitesi con le “canzonette” evasive e “sanremiane” figlie del sistema culturale degli anni 1958-1962, in pieno boom economico. Il documentario venne prodotto dall’Università in collaborazione con l’Istituto storico Parri, ma non trovò un canale di diffusione adeguato. Mi venne chiesto, allora, di mettere in parole quel lavoro, perché non andasse perso e ne uscì un saggio pubblicato sulla rivista Storicamente dell’Università di Bologna e da lì la decisione di ampliare l’argomento e di farne un libro. Libro che esce nella nuova collana di Unicopli: “Comunicazione storica. La storia vista, ascoltata e raccontata” che pubblica lavori usciti dal Master (è stato presentato presso l’Istituto per la Storia e le Memorie del ’900 a Bologna lo scorso 12 febbraio) e che riprende lo stesso titolo del documentario. Nell’audiovideo naturalmente la canzone la fa da padrona, la canzone si ascolta e si vede, nel libro la canzone è presente nei testi, nell’analisi dei contenuti, nell’idea di costruire un filo rosso che metta in relazione canzoni anche lontane nel tempo ma che, nel mio disegno, dialogano tra di loro. Questo è l’aspetto che mi ha interessato di più: il tentativo di costruire una concordanza tra canzoni sociali, di protesta, di lotta scritte tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta o poco oltre.

Come è strutturato il libro? Contenuti? Punti cardine?

La sua prima parte è dedicata a Cantacronache e, rispetto al saggio, ne ho potuto estendere la trattazione cercando di metterne in luce tutte le sfumature, di far comprendere come quelle canzoni fossero dirompenti. L’intenzione del gruppo, del resto, era dichiaratamente sociale e politica: cantare fatti di cronaca perché diventassero di interesse pubblico. Erano musicisti, letterati, intellettuali. Michele Luciano Straniero, Sergio Liberovici, Emilio Jona, Fausto Amodei, Margherita Galante Garrone (Margot) tra i protagonisti, a cui si aggiunsero, con le loro collaborazioni, scrittori e poeti come Mario Pogliotti, Franco Fortini, Italo Calvino, Umberto Eco, Gianni Rodari. Giovani che raccontavano il Paese da una prospettiva critica e anticonformista, denunciando, protestando e riconsegnando alla memoria collettiva fatti e momenti di storia sociale e politica. Disegnavano un’immagine alternativa a quella di un’Italia smagliante e spensierata proposta, per esempio, dalla canzone leggera di moda in quegli anni di pieno miracolo economico. Le loro canzoni, invece, hanno permesso di riguardare agli anni del boom da un’ottica nuova e insolita, cercando di recuperarevicende dimenticate, approfondire punti di vista e riaffermare valori. Così, ha preso forma un ritratto alternativo della società italiana. Non è certo l’Italia del benessere quella che si profila, ma l’Italia vista dalla parte di chi le trasformazioni le subiva: l’Italia della protesta, di chi stava dalla parte delle minoranze e guardava al presente con occhio critico cercando di svelarne le ingiustizie. Quello che potremmo definire il lato in ombra del miracolo economico.

Come è avvenuta la selezione delle canzoni e dei musicisti?

Le canzoni, intanto, sono state utilizzate come fonti, cioè sono state l’occasione per ricostruire il contesto storico, sociale, politico, culturale in cui sono nate o sono state cantate. Per quanto riguarda Cantacronache, attraverso la selezione dei brani ho cercato di individuare dei temi chiave che potessero raccontare il complesso periodo storico di quegli anni. Tra i temi più forti ci sono: il rifiuto verso il conformismo intellettuale, la censura (vedi “Il ratto della chitarra”); la volontà di opporsi al sistema della produzione musicale che trovava ampia espressione soprattutto nella canzonetta leggera priva di contenuti in voga al Festival di Sanremo: la ripetitività dei loro testi, le rime amore/cuore, certa la banalità delle musiche. La contestazione verso i prodotti culturali di puro consumo e intrattenimento, finalizzati a creare un pubblico passivo e acritico nei confronti della realtà, contestazione che ben si è espressa nello slogan “evadere dall’evasione” (vedi “La canzone dei fiori e del silenzio”). La lettura critica del boom economico con l’idea che nascondesse i reali problemi del Paese, avviato a una fase di forte cambiamento in tutti i settori (vedi “Il tarlo”, “La canzone della Michelin”). La questione del lavoro e dei diritti dei lavoratori da difendere. Problemi che toccavano sia il sud (i morti nelle zolfare siciliane) che il nord (la fabbrica con i turni di lavoro che condizionavano pesantemente gli stili di vita e soprattutto quelli delle donne) (vedi “Canzone triste” di Calvino o “La zolfara”). La contestazione di tipo politico, l’avversione al ritorno di un governo filofascista come quello di Ferdinando Tambroni che aveva visto la luce nell’Italia del 1960 (vedi “Per i morti di Reggio Emila”). La battaglia contro le dittature e a sostegno delle mobilitazioni di massa e, allargando il discorso, alle forme di resistenza al colonialismo, all’imperialismo con uno sguardo alla storia di altri paesi (vedi canzoni sulla resistenza spagnola contro il franchismo). Il tema della memoria resistenziale e della lotta partigiana che diventava un patrimonio da preservare e trasferire alle generazioni successive (vedi “Oltre il Ponte”, “Partigiani fratelli maggiori”, “Il fazzoletto rosso”).

Nella seconda parte della trattazione, invece, ho guardato alle canzoni che hanno saputo prendere in carico il mandato di Cantacronache, ovvero di raccontare storie di realtà, che richiamassero l’attenzione sui problemi concreti della gente comune. Canzoni che dichiaravano una presa di posizione di fronte ai conflitti di natura politica; canzoni che raccontavano la violenza e le stragi italiane, le morti ingiuste. Che raccontavano il lavoro che mancava, il lavoro che uccideva. O l’amore reale e quotidiano, non quello edulcorato delle fiabe. Solo certe canzoni si prestavano bene a questo tipo di analisi. Quelle che ho scelto, in modo arbitrario, mi sono parse, più di altre, fortemente connesse al lavoro di Cantacronache, ne hanno riproposto le medesime tematiche o lo stessa forza critica.

Una eredità che ho inteso non come celebrazione del passato ma come un dialogo con esso, un movimento che dal passato va verso il futuro.

Autori più significativi?

Tra gli autori più significativi che ho seguito ci sono: Jannacci e Gaber, gli autori della scuola milanese e di quella genovese, Giovanna Marini, Gualtiero Bertelli, Ivan Della Mea, Paolo Pietrangeli, Stormy Six, Francesco Guccini, Francesco De Gregori, Claudio Lolli, Eugenio Bennato, Ivano Fossati.

Canzoni?

Tra le canzoni più suggestive che si riannodano a quelle di Cantacronache e in particolare al filone del racconto delle stragi italiane (vedi “Per i morti di Reggio Emilia”), ci sono quelle che ricordano Piazza Fontana (La ballata del Pinelli di Pino Masi), gli scioperi del 1969 e l’autunno caldo (La ballata della Fiat di Bandelli), la strage di Piazza della Loggia (Pardo Fornaciari), la strage dell’Italicus (“Agosto” di Claudio Lolli). Molte, invece, si ricollegano al tema resistenziale (vedi Stormy Six) o a quello della critica al mondo dello spettacolo e della società di massa (Claudio Lolli).

Nella scrittura del libro, qual è stato l’insegnamento più importante che hai maturato e saputo cogliere?

Più lavoravo al libro e più mi era chiaro come a partire dall’esperienza di Cantacronache e poi per tutto il periodo degli anni Settanta fare canzoni, scriverle e cantarle fosse un atto politico. Ritrovarsi insieme durante una manifestazione, uno sciopero, un sit in e cantare certe canzoni voleva dire affermare principi forti, dichiarare da quale parte si stava della barricata. In quel momento si è determinato un intreccio fortissimo tra l’azione del cantare e la partecipazione della gente alla politica. Le canzoni erano armi, bandiere, monumenti qualcosa attorno a cui stringersi. Erano l’espressione di un sentire comune, il nodo con il passato, la storia partigiana, i valori della Resistenza ripresi in maniera molto forte. E la canzone in quegli anni faceva di tutto per andare contro il sistema, contro il mercato, alcuni artisti la intesero non come un prodotto da vendere ma come un bene comune, qualcosa che fosse di tutti e che appartenesse di fatto a chi la cantava: al popolo, alla gente a cui si rivolgeva e di cui parlava. La canzone doveva avere un valore sociale: un principio estremo e rivoluzionario, ma qualcuno ci riuscì a portarlo avanti. Negli anni Ottanta questa spinta svanisce, sono gli anni del riflusso, del ritorno nostalgico al revival, gli anni della “dormienza” e della “liquidazione di ogni prospettiva politica” come scrisse Franco Fortini.

Dopo gli anni Ottanta?

La canzone popolare si è poi rinnovata e ci sono stati grandi autori che hanno proseguito su quella strada e in maniera diversa, ma io non ho preso in esame la canzone di oggi, preferendo soffermarmi sul momento in cui quell’intreccio tra partecipazione politica e canto si è manifestato nella sua forma più radicale. Una stagione drammatica ed eroica nello stesso tempo.

Può essere un libro utile per lo studio della storia contemporanea?

Qualcuno mi ha fatto notare come attraverso questo libro sia possibile ripercorrere una storia dell’Italia del Novecento e in effetti penso possa offrire spunti sia a studenti che a insegnanti per costruire percorsi tematici all’interno delle programmazioni didattiche di italiano, storia e forse anche musica. Conosco diversi docenti molto attivi che si stanno muovendo in questa direzione già da tempo, quella che consente di sperimentare, di utilizzare didattiche più coinvolgenti tali da migliorare anche l’apprendimento e fissare nella memoria certi contenuti. La canzone si presta benissimo perché l’ascolto raramente è un’esperienza passiva, mette in moto le emozioni e questo è fondamentale per attivare il processo di apprendimento. Il libro, inoltre, sarà tra quelli a scelta per sostenere l’esame di Storia Contemporanea in uno dei corsi della laurea triennale dell’Università di Bologna. Credo sia interessante poter raccontare una storia del Paese attraverso una fonte, complessa ma ricca di spunti come la canzone e spero che qualche studente si interessi all’argomento e che abbia lo stimolo di approfondirlo ulteriormente. 

Summertime In Jazz