Con la scusa del VideoTime: Intervista a Federico Pagani tra nuovi suoni, istinto e… Heidegger!

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Un Federico Pagani, sempre uguale e sempre diverso con la sua Per sempre e un nuovo progetto

E siamo di nuovo qui a parlare di uno dei più importanti talenti piacentini. Lui è Federico Pagani, e stavolta lo è di nome e di fatto anche nella sua versione da artista, e ancora una volta siamo qui con lui perché, in qualche modo ci lascia sempre a bocca aperta.

Questa volta lo ha fatto per tante cose, come ad esempio il non dover scrivere An harbor ma Federico o perché la versione “chitarra e voce” è stata dismessa per suoni molto diversi da quelli che conoscevamo.

Federico Pagani lo ritroviamo dopo un po’ di tempo, con un nuovo brano, figlio della stessa nidiata che ne ha partorito altri in arrivo (ma proprio presto presto. Ndr), e anche figlio di un momento particolare, e che porta il titolo di “Per sempre”, che da subito ci ha convinto. Però le presentazioni lasciano il tempo che trovano e allora, con la scusa del video autoprodotto, come tutto il resto, passiamo la palla a lui.

Intanto la cosa un po’ strana è trovarsi per parlare di un brano, quando ne aspettiamo già degli altri e sapendo che l’ottica album non è lontana…

Si perché a brevissimo usciranno cose nuove, non solo da ascoltare ma anche per quanto riguarda la parte video. Quella però solo nel caso riuscirò a dare un senso compiuto al tutto. Dato che il pezzo non sarà probabilmente solo uno, anche i video sarebbero due e perciò la cosa non è così semplice.

Due pezzi a testimonianza che c’è molta voglia!

In questo momento sto continuando a buttare fuori delle cose e credo che entro l’estate riuscirò a fare tutto. Per tanti anni ho fatto dei pezzi che poi non lanciavo e ora invece voglio far uscire tutto anche perché faccio in pratica tutto io, non più solo chitarra e voce. A parte la registrazione in studio ed una mixata, il resto lo faccio io.

Dato che siamo a questo punto: ma solo io in “Per sempre”, sento la voce più bassa rispetto al resto?

Ma no, è proprio così ed è voluto. Intanto perché volevo cantare in modo diverso da come lo faccio in inglese e poi perché volevo essere più dimesso. Mi sono reso conto che se tiravo troppo fuori la voce il pezzo non mi convinceva e allora l’ho fatta tipo in stile Battisti, tenendola più indietro, obbligando ad alzare il volume per sentirla bene. Prima, anche per una cosa del genere, mi sarei fatto mille problemi, adesso me ne sbatto e va bene così. Libertà e istinto. Scrivo musica senza essere un genio e la scrivo perché mi viene così e perché non ho niente da perdere.

Sul discorso “nome” non si può non arrivare. La scelta da dove arriva?

Indubbiamente perché è un progetto diverso. An harbor era una cosa grossa e importante, anche collettiva, che ha avuto il suo apice con il disco, che però non è andata come volevo. Quell’apice post X-Factor non è stato tenuto vivo per decine di motivi e la cosa si è esaurita. Oltre a questo è anche tutto il resto che è cambiato. Per un po’ ho smesso di suonare, cambiato lavoro, mollato il colpo, fino a quando mi sono guardato allo specchio e mi sono detto che quella cosa stava finendo e che andava messa da parte. Un mettere da parte talmente lungo che non riuscivo più a rientrarci dentro.

Non solo quello però…

No, ho cambiato vita mille volte, lavoro, un anno poco piacevole che mi ha portato a distaccarmi, e in questo anno in cui non stavo bene per farmela passare, e perché non riuscivo proprio più a suonare, ho imparato ad usare questo programma, i pezzi nascevano e allora mi sono detto “faccio questa cosa qua!”. E allora, per tornare alla domanda sopra, c’era solo un modo di farlo, inutile inventarsi un nome nuovo, ed era quello di chiamarlo Federico Pagani. La scelta del mio nome è tale intanto perché è il mio e poi perché mi rende libero. An harbor era un sonorità, questa è una mia cosa, se tra un anno ho il rock sarà rock, se sarò techno o punk non importa perché sarò sempre io. Poi c’è anche il fatto che non condivido il dover usare uno pseudonimo, oggi ce ne sono troppi con una identità misteriosa. Battisti era Battisti, Battiato era Battiato, Dalla era Dalla: se sei onesto e sincero non hai problemi ad usare il tuo nome. Capisco che adesso è la moda che decide, ma quella finisce e tu invece rimani. È ora di metterci la faccia a 36 anni, fossi Liberato, potrei anche farlo ancora ma io non sono così, io piuttosto, mi sono liberato.

Come è stato il passaggio da una forma di musica per te collaudata, ad una tutta nuova?

È stata la cosa più naturale del Mondo. Mollare per un attimo la chitarra mi ha fatto ritornare a fare musica come da ragazzino, con incoscienza. Prima era diventato tutto meccanico, ora invece è come reimparare ad andare in bicicletta. Forse avrei dovuto capirlo prima che avevo bisogno di un cambiamento perché questo mi fa essere davvero entusiasta.

Questo era dovuto anche ad un po’ di stanchezza da “etichettato”?

Si, ero stanco di come mi vedano come An harbor perché questo implicava una serie di cose, voleva dire “quello con la chitarra acustica”. Ho fatto un disco che andava nella direzione opposta e ne ho pagato le conseguenze, ma io sono fatto così, non mi piace chiudermi in un metro quadrato ed ero stanco di sentirmi legato a quella roba. Poi mi ero creato io quella cos lì, l’ho fatto da solo, e mettere “Federico Pagani” toglie quella maschera, e tu come persona fai quel cazzo che ti pare.

Per sempre. Clicca sull’immagine per andare al video

Ma arriviamo a Per sempre…

È stato uno dei primi pezzi nuovi ma non il primo. Nato a febbraio – marzo del 2019 ed è uscito insieme ad una raffica di altri pezzi ma ad un certo punto mi sono detto che era inutile farne 100, e allora ne ho scelti un po’ per portare quelli al termine. Li ho portati al Tup Studio e poi li ho lasciati decantare un po’, fino a quando ho deciso che fosse il momento di farli uscire.

C’era già il complesso del riascoltarle e volerle già cambiare?

Un po’ si ma me ne fotto. Sicuramente questo è figlio del fatto che più vado avanti e più divento consapevole di quello che sto facendo ed imparo ancora di più a farlo. Però adesso era giusto farle uscire così.

Eri molto dubbioso prima del lancio. Quali sono state le prime reazioni?

Mi aspettavo sicuramente peggio, adesso c’è gente che mi scrive che gli è piaciuto tanto. Purtroppo temo di essermi già giocato il più bello! Comunque adesso posso dire che sta andando bene, è stato prima che ho fatto l’errore di farlo ascoltare ad un po’ di gente e il risultato è stato che non piaceva quasi a nessuno: ho avuto risposte tiepide tiepide. Allora lì ho pensato che ci fosse qualcosa che non stava funzionando e poi mi sono detto “sai cosa c’è? Che mi avete rotto il cazzo. Li faccio uscire così, senza aspettative o pretese”. Poi vedi che gli addetti ai lavori non te li cagano e invece alla gente piacciono e allora dici “ma allora qual è il problema?”.

Com’è andare in studio con una versione così diversa?

Prima con voce e chitarra acustica nella mia testa mi immaginavo una arrangiamento che stesse come un vestito al pezzo, provando ad abbozzarlo e provando a far capire alle persone quella che era la mia visione. Cosa bellissima e difficilissima. Così invece ho una cura mia su ogni singolo suono che c’è, ogni singola nota e colpo di batteria. Adesso c’è un grade lavoro a casa e quando arrivi in studio è fatto. Poi in studio ci si va anche per avere un orecchio diverso dal mio, con gente che ha gusti non uguali ai miei ma che stimo molto, e allora lì parlando con qualcuno che li ascolta da fuori, ti dice quello che può funzionare di più o dimeno, ma comunque cose minime.

Federico Pagani

Imparando uno strumento nuovo, mi fa venire in mente Heidegger quando dice che “riusciamo a pensare limitatamente alle parole di cui disponiamo”: questo vale anche nella creazione della musica nel momento in cui si ha in mano un oggetto nuovo, oppure è istinto?

Entrambe lo cose. Heidegger lo condivido e infatti proprio per questo mi sono detto che la chitarra la suono al meglio oppure imparo un’altra cosa. Però anche lì, nonostante abbia una “grammatica musicale” più ricca rispetto ad un programma, una cosa o la scrivi subito, o sei in una congiuntura perfetta e in 5 minuti lo fai, oppure passato il momento delirante iniziale in cui non sei troppo lucido, ci sta riguardare quello che si è fatto con più lucidità filtrando l’istinto. Forse l’istinto però è anche andare a riguardare le cose con più lucidità.

Heidegger, istinto, programmi… va bene tutto, ma alla fine: ti sei divertito?

A bestia. Come un pazzo.

P.s.: il nuovo Ep “Solo il vuoto del cosmo” è già on line, basta cliccare sull’immagine qua sotto!

Il nuovo ep di Federico Pagani
Summertime In Jazz